Capitolo I° Dio parlainteriormenteall'anima fedele |
Capitolo II° Si fa sentire dentro di noi.... |
Capitolo III° Dare umile ascolto alla Parola di Dio.... | Capitolo IV° Intimamente uniti a Dio... |
Capitolo V° Mirabili affetti verso l'amore di Dio | Capitolo VI° Chi ha vero amore ne da vera prova |
Capitolo VII° Proteggere la grazia sotto la salvaguardia dell'umiltà | Capitolo VIII° La bassa opinione di sè agli occhi di Dio |
Capitolo IX° Riferire tutto a Dio ultimo fine |
Capitolo X° Dolce cosa abbandonare il mondo e servire Dio |
Capitolo XI° Vagliare e frenare i desideri del nostro cuore | Capitolo XII° L'educazione e patire la lotta contro la concupiscenza |
Capitolo XIII° Mettersi al disotto di tutti in umile obbedienza... | Capitolo XIV° Pensare all'occulto giudizio di Dio,per non insuperbirsi.. |
Capitolo XV° Come comportarci e che cosa dire di fronte ad un nostro... | Capitolo XVI° Soltanto in Dio va cercata la vera consolazione |
Capitolo XVII° L'educazione a patire e la lotta contro la concupiscenza | Capitolo XVIII° Sopportare serenamente le miserie di questo mondo... |
Capitolo XIX° La capacità di sopportare le offese e la vera provata... | Capitolo XX° Riconoscere la propria debolezza e la miseria di ... |
Capitolo XXI° In Dio, al disopra di ogni bene e di ogni dono, dobbiamo... | Capitolo XXII° Riconoscere i molti e vari benefici di Dio |
Capitolo XXIII° Le quattro cose che recano una vera grande pace | Capitolo XXIV° Guardarsi dall'indagare curiosamente la vita degli altri |
Capitolo XXV° In che consistono la stabilità della pace interiore... | Capitolo XXVI° L'eccelsa libertà dello Spirito, frutto dell'umile preghiera... |
Capitolo XXVII° Più di ogni altra cosa l'amore di se stesso rallenta | Capitolo XXVIII Contro le linguacce denigratrici |
Capitolo XXIX° Invocare e benedire Dio nella tribolazione | Capitolo XXX° Chiedere l'aiuto di Dio nella fiducia di ricevere la sua grazia |
Capitolo XXXI° Abbandonare ogni creatura per poter trovare Dio | Capitolo XXXII° Rinnegare se stessi e rinunciare ad ogni desiderio |
Capitolo XXXIII°L'instabilità del nostro cuore e la intenzione ultima ... | Capitolo XXXIV° Chi è ricco d'amore gusta Dio in tutto.... |
Capitolo XXXV° In questa vita,nessuna certezza di andare esenti da tentaz. | Capitolo XXXVI° Contro i vuoti giudizi umani |
Capitolo XXXVII°L'assoluta e totale rinuncia a se stesso per ottenere.. | Capitolo XXXVIII° Il buon governo di sè nelle cose esterne e il ricorso... |
Capitolo XXXIX° Nessun affanno nel nostro agire | Capitolo XL° Nulla di buono ha l'uomo da sé e di nulla può vantarsi |
Capitolo XLI° Il disprezzo di ogni onore di questo mondo | Capitolo XLII° La nostra pace non dobbiamo porla negli uomini |
Capitolo XLIII° Contro l'inutile scienza di questo mondo | Capitolo XLIV° Non ci si deve attaccare alle cose esteriori |
Capitolo XLV° Non fare affidamento su alcuno:le parole... | Capitolo XLVI° Affidarsi a Dio quando spuntano parole che feriscono |
Capitolo XLVII° Ogni cosa gravosa va sopportata, per conseguire la vita... | Capitolo XLVIII° La vita eterna e le angustie della vita presente |
Capitolo XLIX° Il desiderio della vita eterna i grandi beni promessi... | Capitolo L° Chi è nella desolazione deve mettersi nelle mani di Dio |
Capitolo LI° Dedicarsi a cose più umili quando si viene meno nelle più alte | Capitolo LII° L'uomo non si creda meritevole di essere consolato... |
Capitolo LIII° La grazia di Dio non si confonde con ciò che ha sapore... | Capitolo LIV° Gli opposti impulsi della natura e della grazia |
Capitolo LV° La corruzione della natura e la potenza della grazia divina | Capitolo LVI° Rinnegare se stessi e imitare Cristo nella croce |
Capitolo LVII° Non ci si deve abbattere eccessivamente quando si cade... | Capitolo LVIII° La vita eterna e le angustie della vita presente |
Capitolo LIX° Porre ogni nostra speranza e ogni fiducia soltanto a Dio |
Libro III
INCOMINCIA IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE
Capitolo
I "CRISTO PARLA INTERIORMENTE ALL'ANIMA FEDELE"
1. "Darò ascolto a quello che stia per dire dentro di me il Signore"
(Sal 84,9). Beata l'anima che ascolta il Signore che le parla dentro, e accoglie
dalla sua bocca la parola di consolazione. Beate le orecchie che colgono la
preziosa e discreta voce di Dio, e non tengono alcun conto dei discorsi di
questo mondo. Veramente beate le orecchie che danno retta, non alla voce che
risuona dal di fuori, ma alla verità, che ammaestra dal di dentro. Beati gli
occhi, che, chiusi alle cose esteriori, sono attenti alle interiori. Beati
coloro che sanno penetrare ciò che è interiore e si preoccupano di prepararsi
sempre più, con sforzo quotidiano, a comprendere le cose arcane del cielo.
Beati coloro che bramano di dedicarsi a Dio, sciogliendosi da ogni impaccio
temporale.
1. Comprendi tutto ciò, anima mia, e chiudi la porta dei sensi, affinché tu
possa udire quello che ti dice interiormente Iddio, tuo signore. Questo dice il
tuo diletto: "Io sono la tua salvezza" (Sal 34,3), la tua pace, la tua
vita; stai accanto a me e troverai la pace; lascia tutte le cose che passano,
cerca le cose eterne. Che altro sono le cose corporali, se non illusioni? E a
che gioveranno tutte le creature, se sarai abbandonata dal Creatore? Oh, anima
mia, rinuncia a tutto e fatti cara e fedele al tuo Creatore, così da poter
raggiungere la vera beatitudine.
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Capitolo
II "SI FA SENTIRE DENTRO DI NOI SENZA ALTISONANTI PAROLE"
1. "Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10). "Io
sono il tuo servo; dammi luce per apprezzare quello che tu proclami" (Sal
118,125). Disponi il mio cuore alle parole della tua bocca; il tuo dire discenda
come rugiada. Dissero una volta a Mosè i figli di Israele: "Parlaci tu, e
potremo ascoltarti; non ci parli il Signore, affinché non avvenga che ne
moriamo" (Es 20,19). Non così, la mia preghiera, o Signore. Piuttosto, con
il profeta Samuele, in umiltà e pienezza di desiderio, io ti chiedo
ardentemente: "Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam
3,10). Non mi parli Mosè o qualche altro profeta; parlami invece tu, Signore
Dio, che ispiri e dai luce a tutti i profeti: tu solo, senza di loro, mi puoi
ammaestrare pienamente; quelli, invece, senza di te, non gioverebbero a nulla.
Possono, è vero, far risuonare parole, ma non danno lo spirito; parlano bene,
ma, se tu non intervieni, non accendono il cuore; lasciano degli scritti, ma sei
tu che ne mostri il significato; presentano i misteri, ma sei tu che sveli il
senso di ciò che sta dietro al simbolo; emettono ordini, ma sei tu che aiuti ad
eseguirli; indicano la strada , ma sei tu che aiuti a percorrerla. Essi operano
solamente all'esterno, ma tu prepari ed illumini i cuori; essi irrigano
superficialmente, ma tu rendi fecondi; essi fanno risuonare delle parole, ma sei
tu che aggiungi all'ascolto il potere di comprendere.
1. Non mi parli dunque Mosè; parlami tu, Signore mio Dio, verità eterna,
affinché, se ammonito solo esteriormente e privo di fuoco interiore, io non
resti senza vita e non mi isterilisca; affinché non mi sia di condanna la
parola udita non tradotta in pratica, conosciuta ma non amata, creduta ma non
osservata. "Parla, dunque, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam
3,10): "tu hai infatti parole di vita eterna" (Gv 6,69). Parlami,
affinché scenda un po' di consolazione all'anima mia, e tutta la mia vita sia
purificata. E a te sia lode e onore perpetuo.
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Capitolo
III "DARE UMILE ASCOLTO ALLA PAROLA DI DIO, DA MOLTI NON MEDITATA A
DOVERE"
1. Ascolta, figlio, le mie parole; parole dolcissime, più alte di tutta la
dottrina dei filosofi e dei sapienti di questo mondo. "Le mie parole sono
spirito e vita" (Gv 6,63), e non vanno valutate secondo l'umano sentire.
Non si debbono convertire in vano compiacimento; ma si debbono ascoltare nel
silenzio, accogliendole con tutta umiltà e con grande amore. E dissi:
"Beato colui che sarà stato formato da te, o Signore, e da te istruito
intorno alla legge, così che gli siano alleviati i giorni del dolore" ed
egli non sia desolato su questa terra
(Sal 93,12s). Io, dice il Signore, fin dall'inizio ammaestrai i profeti, e
ancora non manco di parlare a tutti.
Ma molti sono sordi e duri alla mia voce. Numerosi sono coloro che ascoltano più
volentieri il mondo che Dio,
e seguono più facilmente i desideri della carne che la volontà di Dio. Il
mondo promette cose da poco e che durano ben poco; eppure ci si fa schiavi del
mondo, con grande smania. Io prometto cose grandissime ed eterne; eppure il
cuore degli uomini resta torbido. Chi mai mi obbedisce e mi serve con tanto
zelo, come si serve al mondo a ai suoi padroni? "Arrossisci, o Signore, così
dice il mare" (Is 23,4).
E se vuoi sapere il perché, ascolta. Per uno scarso vantaggio si percorre un
lungo cammino; ma. Per la vita eterna, molti a stento alzano da terra un piede.
Si corre dietro ad un modesto guadagno; talora, per un soldo,
si litiga vergognosamente; per una cosa da nulla e dietro una piccola speranza
non si esita a faticare giorno e notte; ma - cosa spudorata - per un bene che
non viene meno, per un premio inestimabile, per l'onore più grande e la gloria
che non ha fine, si stenta a faticare anche un poco.
1. Arrossisci, dunque, servo pigro e lamentoso; ché certuni sono più pronti ad
andare alla perdizione di quanto non sia pronto tu ad andare alla vita: trovano
essi più gioia in cose false di quanta ne trovi tu nella verità. Eppure essi
sono ben spesso traditi dalla loro speranza, mentre la mia promessa non delude
nessuno, né lascia a mani vuote colui che confida in me. Quel che ho promesso,
darò; quel che ho detto adempirò, purché uno sia rimasto costante, sino alla
fine, nel mio amore. Io sono colui che compenserà tutti i buoni e metterà
severamente alla prova tutte le persone devote. Scrivi le mie parole nel tuo
cuore e meditale attentamente; ti saranno molto utili nell'ora della tentazione.
Quello che non avrai capito alla prima lettura, lo comprenderai nel giorno in
cui io verrò a te. Due sono i modi con i quali io visito i miei eletti; la
tentazione e la consolazione. Due sono le lezioni che io do loro ogni giorno;
una, rimproverando i loro vizi, l'altra, esortandoli a rafforzare le loro virtù.
Colui che, avendo ricevuto "le mie parole, le disprezza, avrà chi lo
giudica". Nell'ultimo giorno
(Gv 12,48).
Preghiera per chiedere la grazia della devozione.
3. Signore mio Dio, tu sei tutto il mio bene. E io, chi sono per osare di
rivolgermi a te? Sono il tuo miserabile piccolo servo, un abietto vermiciattolo,
molto più misero e disprezzabile di quanto io stesso non capisca e non osi
confessare. Tuttavia, Signore, ricordati di me, che sono un nulla, nulla ho e
nulla valgo. Tu solo sei buono, giusto e santo; tutto puoi e ogni cosa viene da
te; tutto tu colmi, soltanto il peccatore tu lasci a mani vuote. Ricordati della
tua misericordia (Sal 24,6) e riempi il mio cuore con la tua grazia; tu, che non
permetti che resti vana la tua opera. Come potrò sopportare me stesso, in
questa misera vita, se tu non mi conforterai con la tua pietà e con la grazia?
Non distogliere da me la tua faccia, non tardare con la tua visita, non farmi
mancare la tua grazia, affinché l'anima mia non divenga per te come una terra
arida (Sal 142,6). Signore, insegnami a fare la tua volontà (Sal 142,10);
insegnami a stare degnamente e umilmente accanto a te. Tutto tu sai di me, poiché
mi conosci nell'intimo; anzi mi conoscevi prima che il mondo esistesse, prima
che io fossi nato.
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Capitolo
IV "INTIMAMENTE UNITI A DIO, IN SPIRITO DI VERITA' E DI UMILTA'"
1. Figlio, cammina alla mia presenza in spirito di verità, e cercami sempre con
semplicità di cuore. Chi cammina dinanzi a me in spirito di verità sarà
protetto dagli assalti malvagi; la verità lo farà libero da quelli che cercano
di sedurlo e dai perversi, con le loro parole infamanti. Se ti farà libero la
verità, sarai libero veramente e non terrai in alcun conto le vane parole degli
uomini. E' vero, o Signore: ti prego, così mi avvenga, come tu dici. Mi sia
maestra la tua verità; mi custodisca e mi conduca alla meta di salvezza; mi
liberi da effetti e da amori perversi, contrari alla divina volontà. Allora
camminerò con te, con grande libertà di spirito.
1. Io ti insegnerò, dice la Verità, ciò che è retto e mi è gradito. Ripensa
con grande, amaro dolore, ai tuoi peccati, e non credere mai di valere qualcosa,
per opere buone che tu abbia compiuto. In realtà sei un peccatore, irretito da
molte passioni e schiavo di esse. Da te non giungi a nulla: subitamente cadi e
sei vinto; subitamente vieni sconvolto e dissolto. Non hai nulla di che ti possa
vantare; hai molto, invece, di che ti debba umiliare, giacché sei più debole
assi di quanto tu possa capire. Di tutto quello che fai, niente ti sembri
grande, prezioso e ammirevole; niente ti sembri meritevole di stima. Alto,
lodevole e desiderabile davvero ti sembri soltanto ciò che è eterno. Più di
ogni altra cosa, ti sia cara la verità eterna; e sempre ti dispiaccia la tua
estrema pochezza. Nulla devi temere, disprezzare e fuggire quanto i tuoi vizi e
i tuoi peccati; cose che ti debbono affliggere più di ogni danno materiale.
2. Ci sono persone che camminano al mio cospetto con animo non puro: persone che
- dimentiche di se stesse e della propria salvezza, e mosse da una certa
curiosità e superbia - vorrebbero conoscere i miei segreti, e comprendere gli
alti disegni di Dio. Costoro cadono sovente in grandi tentazioni e in grandi
peccati per quella loro superbia e curiosità, che io ho in odio. Mantieni una
religiosa riverenza dinanzi al giudizio divino, dinanzi allo sdegno
dell'Onnipotente. Non volere, dunque, sondare l'operato dell'Altissimo.
Esamina invece le tue iniquità: in quante cose hai errato e quante cose buone
hai tralasciato. Ci sono alcuni che fanno consistere la loro pietà soltanto
nelle letture, nelle immagini sacre e nelle raffigurazioni esteriori e
simboliche; altri mi hanno sulla bocca, ma poco c'è nel loro cuore. Ci sono
invece altri che, illuminati nella mente e puri nei loro affetti, anelando
continuamente alle cose eterne, provano fastidio a sentir parlare di cose
terrene e soffrono ad assoggettarsi a ciò che la natura impone.
Sono questi che ascoltano ciò che dice, dentro di loro, lo spirito di verità.
Il quale li ammaestra a disprezzare le cose di questa terra e ad amare quelle
del cielo; ad abbandonare il mondo e ad aspirare, giorno e notte, al cielo.
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Capitolo
V "MIRABILI EFFETTI DELL'AMORE VERSO DIO"
1. Ti benedico, o Padre celeste, padre del mio Signore Gesù Cristo, perché ti
sei degnato di ricordarti della mia miseria. Ti ringrazio, o Padre delle
misericordie, Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3), che, con il tuo conforto,
talora mi ritempri, quantunque io ne sia totalmente indegno. In ogni momento ti
benedico e do gloria a te, con l'unigenito tuo Figlio e con lo Spirito Santo
Paraclito, per tutti i secoli. Oh!, mio Signore, che sei santo e mi ami, come
esulteranno tutte le mie viscere, quando verrai nel mio cuore! "In te è la
mia gloria, la gioia del mio cuore, la mia speranza e il mio rifugio nel giorno
della tribolazione" (Sal 3,4; 118; 111; 58,17).
Poiché, però, il mio amore per te è ancora fiacco, e deboli sono le mie
forze, ho bisogno del tuo aiuto e del tuo conforto.
Vieni a me, dunque, il più spesso, e istruiscimi nella via della santità;
liberami dalle passioni malvage e risana il mio cuore da tutti gli affetti
sregolati, cosicché, interiormente risanato e del tutto purificato, io diventi
pronto nell'amarti, forte nel patire, fermo nel perseverare.
1. Grande cosa è l'amore. Un bene grande, veramente. Un bene che, solo, rende
leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile; porta
il peso, senza fatica, e rende dolce e gustosa ogni cosa amara. Il nobile amore
di Gesù spinge ad operare grandi cose e suscita desideri di sempre maggiore
perfezione. L'amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché
di terreno.
Esige di essere libero e staccato da ogni affetto umano, cosicché non abbia
ostacoli a scrutare nell'intimo,
non subisca impacci per interessi temporali, non sia sopraffatto da alcuna
difficoltà. Niente è più dolce dell'amore; niente è più forte, più alto o
più grande: niente, né in cielo né in terra, è più colmo di gioia, più
completo o più buono: perché l'amore nasce da Dio e soltanto in Dio, al di
sopra di tutte le cose create, può trovare riposo. Chi ama vola, corre
lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il tutto, e
ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell'uno supremo, dal
quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli
viene donato, ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona. Spesso l'amore
non consce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine. L'amore non sente
gravezza, non tiene conto della fatica, anela a più di quanto non possa
raggiungere, non adduce a scusa la sua insufficienza, perché ritiene che ogni
cosa gli sia possibile e facile. Colui che ama può fare ogni cosa, e molte cose
compie e manda ad effetto; mentre colui che non ama viene meno e cade. L'amore
vigila; anche nel sonno, non s'abbandona; affaticato, non è prostrato; legato,
non si lascia costringere; atterrito, non si turba: erompe verso l'alto e
procede sicuro, come fiamma viva, come fiaccola ardente.
2. Questo mio grido l'intende appieno colui che possiede amore. Un grande grido
agli orecchi di Dio è lo slancio stesso ardente dell'anima, che esclama: Dio
mio, mio amore, tu sei interamente mio ed io sono interamente tua. Accrescimi
nell'amore, affinché io impari a gustare nell'intimo quanto l'amore è soave;
impari a sciogliermi nell'amore e ad immergermi in esso. Che io sia tutto preso
dall'amore, che mi elevi sopra me stesso, in estasi appassionata, che io canti
il canto dell'amore e che mi innalzi con te, o mio diletto; venga meno, nel
lodarti, l'anima mia, nella gioia dell'amore. Che io ti ami più che me stesso,
e me stesso soltanto per te; che in te io ami tutti coloro che ti amano
veramente, come comanda la legge dell'amore, luce che da te proviene.
3. L'amore è sollecito, sincero e devoto; lieto e sereno; forte e paziente;
fedele e prudente; longanime; virile e sempre dimentico di sé: ché, se uno
cerca se stesso, esce fuori dall'amore.
L'amore è attento, umile e sicuro; non fiacco, non leggero, né intento a cose
vuote; sobrio, casto, costante, quieto e vigilante nei sensi.
L'amore è sottomesso, basso e disprezzato ai suoi propri occhi; devoto e grato
a Dio. In Dio confida e spera sempre, anche quando non lo sente vicino, perché
non si vive nell'amore senza dolore. Colui che non è pronto a soffrire ogni
cosa e ad ubbidire al suo Diletto, non è degno di essere chiamato uomo d'amore;
questi deve abbracciare con slancio tutte le avversità e le amarezze per il suo
Diletto, senza da ciò deflettere, qualsiasi evidenza si frapponga.
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Capitolo
VI "CHI HA VERO AMORE, COME NE DA' PROVA"
1. Figlio, ancora non sei forte e saggio nell'amore. Perché, o Signore? Perché,
per una piccola contrarietà lasci la strada intrapresa e troppo avidamente
cerchi consolazione. Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni e non crede
alla suadente furbizia del nemico. Come gli sono caro nella prosperità, così
gli sono caro nelle avversità. Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al
pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona. Guarda più all'affetto che
al prezzo, e pone tutti i doni al di sotto della persona amata. Chi è nobile
nell'amore non si appaga nel dono, ma si appaga in me, al di sopra di qualunque
dono. Se talvolta, verso di me, o verso i miei santi, hai l'animo meno ben
disposto di quanto vorresti, non per questo tutto è perduto. Quell'amore che
talora senti, buono e dolce, è effetto della grazia presente in te; è, per così
dire, un primo assaggio della patria celeste. Ma è cosa su cui non bisogna fare
troppo conto, perché non è ferma e costante.
2. Segno di virtù e di grande merito, è questo: lottare quando si affacciano
cattivi impulsi dell'animo, e disprezzare le suggestioni del diavolo. Dunque non
lasciarti turbare da alcun pensiero che ti venga dal di fuori, di qualsivoglia
natura. Saldamente mantieni, invece, i tuoi propositi, con l'animo diretto a
Dio. Non è una vana illusione che, talvolta, tu sia d'un tratto portato fino
all'estremo rapimento, per poi ritornare subito alle consuete manchevolezze
spirituali; queste infatti non dipendono da te, ma le subisci contro tua voglia.
Anzi, fino a che tali manchevolezze ti disgustano, e ad esse resisti, questo è
cosa meritoria, non già rovinosa per l'anima. Sappi che l'antico avversario
tenta in ogni modo di ostacolare il tuo desiderio di bene, distogliendoti da
qualsiasi esercizio di devozione; distogliendoti, cioè dal culto dei santi, dal
pio ricordo della mia passione, dall'utile pensiero dei tuoi peccati, dalla
vigilanza del tuo cuore; infine dal fermo proponimento di progredire nella virtù.
L'antico avversario insinua molti pensieri perversi, per molestarti e
spaventarti, per distoglierti dalla preghiera e dalle sante letture. Lo disgusta
che uno umilmente si confessi; se potesse, lo farebbe disertare dalla comunione.
Non credergli, non badargli, anche se ti avrà teso sovente i lacci
dell'inganno. Ascrivile a lui, quando ti insinua cose cattive e turpi. Digli:
vattene, spirito impuro; arrossisci, miserabile. Veramente immondo sei tu, che
fai entrare nei miei orecchi cose simili. Allontanati da me, perfido
ingannatore; non avrai alcun posto in me: presso di me starà Gesù, come un
combattente valoroso; e tu sarai svergognato. Preferisco morire e patire
qualsiasi pena, piuttosto che cedere a te. Taci, ammutolisci; non ti ascolterò
più, per quante insidie tu mi possa tendere. "Il Signore è per me luce e
salvezza; di chi avrò paura? (Sal 26,1). Anche se fossero eretti contro di me
interi accampamenti, il mio cuore non vacillerà (Sal 26,3). Il Signore è il
mio alleato e il mio redentore" (Sal 18,15).
3. Combatti come un soldato intrepido. E se talvolta cadi per la tua debolezza,
riprendi forza maggiore, fiducioso in una mia grazia più grande, guardandoti
però attentamente dalla vana compiacenza e dalla superbia: è a causa di esse
che molti vengono indotti in inganno, cadendo talora in una cecità pressoché
incurabile.
E' questa rovina degli uomini superbi, stoltamente presuntuosi, che ti deve
indurre a prudenza e ad indefettibile umiltà.
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Capitolo VII "PROTEGGERE LA GRAZIA SOTTO LA
SALVAGUARDIA DELL'UMILTA'"
1. O figlio, è per te cosa assai utile e sicura tenere nascosta la grazia della
devozione; non insuperbirne, non continuare a parlarne e neppure a ripensarci
molto. Disprezza, invece, temendo questa grazia come data a uno che non ne era
degno. Non devi attaccarti troppo forte a un tale slancio devoto, che
subitamente può trasformarsi in un sentimento contrario. Nel tempo della grazia
ripensa a quanto, di solito, sei misero e povero senza la grazia. Un progresso
nella vita spirituale non lo avrai raggiunto quando avrai avuto la grazia della
consolazione, ma quando, con umiltà, abnegazione e pazienza, avrai saputo
sopportare che essa ti sia tolta. Cosicché, neppure allora, tu sia pigro
nell'amore alla preghiera o lasci cadere del tutto le abituali opere di pietà;
anzi, tu faccia volenterosamente tutto quanto è in te, come meglio potrai e
saprai, senza lasciarti andare del tutto a causa dell'aridità e dell'ansietà
spirituale che senti.
2. Molti, non appena accade qualcosa di male, si fanno tosto impazienti e
perdono la buona volontà.
Ma le vie dell'uomo non dipendono sempre da lui. E' Dio che può dare e
consolare, quando vuole e quanto vuole e a chi egli vuole; nella misura che gli
piacerà e non di più. Molti, poi, fattisi arditi per il fatto che sentivano la
grazia della devozione, procurarono la loro rovina: essi vollero fare di più di
quanto era nelle loro possibilità, non considerando la propria pochezza e
seguendo l'impulso del cuore piuttosto che il giudizio della ragione. Presunsero
di poter fare più di quello che era nella volontà di Dio; perciò d'un tratto
persero la grazia.
Essi, che avevano posto il loro nido nel cielo, restarono a mani vuote,
abbandonati alla loro miseria; cosicché, umiliati e spogliati, imparassero, a
non volare con le loro ali, ma a star sotto le mie ali, nella speranza.
Coloro che sono ancora novellini e inesperti nella via del Signore facilmente si
ingannano e cadono, se non si attaccano al consiglio di persone elette. E se
vogliono seguire quello che loro sembra giusto, anziché affidarsi ad altri più
esperti, finiranno male, a meno che non vogliano ritrarsi dal proprio interno.
Coloro che si credono sapienti di per sé, di rado si lasciano umilmente guidare
da altri. Sennonché uno scarso sapere e una modesta capacità di comprendere,
accompagnati dall'umiltà, valgono di più di un gran tesoro di scienza,
accompagnato dal vuoto compiacimento di sé. E' meglio per te avere poco,
piuttosto che molto; del molto potresti insuperbire.
3. Non agisce con sufficiente saggezza colui che, avendo la grazia, si dà
interamente alla gioia, senza pensare alla sua miseria di prima e alla purezza
che si deve aver nel timore di Dio; timore cioè di perdere quella grazia che
gli era stata data. Così non dimostra di avere sufficiente virtù colui che, al
momento dell'avversità o in altra circostanza che lo opprima, si dispera
eccessivamente e concepisce, nei confronti, pensieri e sentimenti di fiducia
meno piena di quanto mi si dovrebbe. Al momento della lotta, si troverà spesso
estremamente abbattuto e pieno di paura proprio colui che, in tempo di quiete,
avrà voluto essere troppo sicuro.
Se tu, invece, riuscissi a restare umile e piccolo in te stesso, e a ben
governare e dirigere il tuo spirito non cadresti così facilmente nel pericolo e
nel peccato. Un buon consiglio è questo, che, quando hai nell'animo uno
speciale ardore spirituale, tu consideri bene quello che potrà accadere se verrà
meno tale luce interiore. Quando poi ciò accadesse, pensa che poi di nuovo
possa tornare quella luce che per un certo tempo ti ha tolta, per tua sicurezza
e per la mia gloria. Infatti, subire una simile prova è spesso a te più utile
che godere stabilmente di una situazione tranquilla, secondo il tuo piacere. In
verità i meriti non si valutano secondo questo criterio, che uno abbia
frequenti visioni, o riceva particolari gioie interiori, o sia posto in un grado
più alto. Ma piuttosto secondo questo criterio, che uno sia radicato nella vera
umiltà e ripieno dell'amore divino; che ricerchi sempre soltanto e interamente
di rendere gloria a Dio; che consideri se stesso un nulla; che si disprezzi
veramente e preferisca perfino essere disprezzato ed umiliato dagli altri,
anziché essere onorato.
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Capitolo
VIII "LA BASSA OPINIONE DI SE' AGLI OCCHI DI DIO"
1. "Che io osi parlare al mio Signore, pure essendo polvere e cenere"
(Gn 18,27). Se avrò tenuto troppo grande opinione di me, ecco tu mi starai
dinanzi e le mie iniquità daranno testimonianza del vero, contro di me; né
potrò controbattere. Se invece mi sarò considerato cosa da poco - riducendomi
a un nulla, liberandomi da ogni reputazione di me stesso, facendomi polvere,
quale sono - la tua grazia mi sarà propizia e la tua luce sarà vicina al mio
cuore. Così ogni stima, anche minima, svanirà per sempre, sommersa nell'abisso
della mia umiltà. In tal modo, o Dio, tu mi mostri a me stesso: che cosa sono e
che cosa fui, a che giunsi. Sono un nulla ì, e neppure me ne rendo conto.
Lasciato a me stesso, ecco il nulla; tutto è manchevolezza. Se, invece, d'un
tratto, tu guardi me, immediatamente divento forte e pieno di nuova gioia. Ed è
così veramente meravigliosa questo sentirmi così improvvisamente sollevato, e
così amorosamente abbracciato da te; ché, per la mia gravezza, sono portato
sempre al basso. E' opera, questa, del tuo amore: senza mio merito esso mi viene
incontro, mi aiuta in tante mie varie necessità, mi mette al riparo da ogni
grave pericolo e mi strappa da mali veramente innumerevoli.
1. Mi ero perduto, amandomi di un amore davvero non retto; invece, cercando
soltanto te, e con retto amore, ho travato, ad un tempo, e me stesso e te. Per
tale amore mi sono sprofondato ancor di più nel mio nulla; perché sei tu, che,
nella tua grande bontà, vai, nei mie confronti, al di là di ogni merito, e al
di là di quello che io oso sperare e chiedere. Sii benedetto, o mio Dio, perché,
quantunque io non sia degno di alcun dono, la tua magnanimità e la tua infinita
bontà non cessano di largire benefici anche agli ingrati, che si sono
allontanati da te. Portaci di nuovo a te, affinché siamo pieni di gratitudine,
di umiltà e di devozione. Tu sei infatti il nostro sostegno, la nostra forza,
la nostra salvezza.
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Capitolo
IX "RIFERIRE TUTTO A DIO, ULTIMO FINE"
1. O figlio, se veramente desideri farti santo, devo essere io il tuo supremo ed
ultimo fine: un fine che renderà puri i tuoi affetti, troppo spesso piegati
verso te stesso e verso le creature; ed è male giacché, quando in qualche cosa
cerchi te stesso, immediatamente vieni meno ed inaridisci. Tutto devi dunque
ricondurre, in primo luogo, a me; perché tutto da me proviene. Considera ogni
cosa come emanata dal sommo bene, e perciò riferisci tutto a me, come alla sua
origine. Acqua viva attingono a me, come a fonte viva, l'umile e il grande, il
povero e il ricco. Colui che si mette al mio servizio, con spontaneità e libertà
di spirito, riceverà grazia. Invece colui che cerca onore e gloria, non in me,
ma altrove; colui che cerca diletto in ogni bene particolare non godrà di
quella gioia vera e duratura che allarga il cuore. Anzi incontrerà molti
ostacoli ed angustie.
1. Nulla di ciò che è buono devi ascrivere a te; nessuna capacità, devi
attribuire ad un mortale. Riconosci, invece, che tutto è di Dio, senza del
quale nulla ha l'uomo. Tutto è stato dato da me, tutto voglio riavere; e chiedo
con forza che l'uomo me ne sia grato. E' questa la verità, che mette in fuga
ogni inconsistente vanteria. Quando verranno la grazia celeste e il vero amore,
allora scompariranno l'invidia e la grettezza del cuore; perché l'amore di Dio
vince ogni cosa e irrobustisce le forze dell'anima. Se vuoi essere saggio, poni
la tua gioia e la tua speranza soltanto in me. Infatti "nessuno è buono;
buono è soltanto Iddio" (Lc 18,19). Sia egli lodato, al di sopra di ogni
cosa; e sia in ogni cosa benedetto.
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Capitolo
X "DOLCE COSA, ABBANDONARE IL MONDO E SERVIRE A DIO"
1. Parlerò ancora, e non tacerò; dirò all'orecchio del mio Dio, mio signore e
mio re, che sta nei cieli: se "è tanto grande e sovrabbondante, o Signore,
la dolcezza che hai preparato per coloro che ti temono" (Sal 30,20), che
cosa sei tu, per coloro che ti amano e per coloro che ti servono con tutto il
cuore? Davvero ineffabile è la dolcezza della tua contemplazione, che tu
concedi a coloro che ti amano. Ecco dove massimamente mostrasti la soavità del
tuo amore per me: non ero, e mi hai creato; mi ero allontanato da te, e tu mi
hai ricondotto a servirti; infine mi hai comandato di amarti. Oh!, fonte di
eterno amore, che potrò dire di te; come mi potrò dimenticare di te, che ti
sei degnato di ricordarti di me, dopo che mi ero perduto nel marciume? Hai usato
misericordia con il tuo servo, al di là di ogni speranza; gli hai offerto
grazia ed amicizia, al di là di ogni merito. Che cosa mai potrò dare in cambio
di un tal beneficio? Giacché non a tutti è concesso di abbandonare ogni cosa,
di rinunciare al mondo e di scegliere la vita del monastero.
1. E' forse gran cosa che io serva a te, al quale ogni creatura deve servire?
Non già il servirti mi deve sembrare gran cosa; piuttosto mi deve sembrare
grande e meraviglioso che tu, unendolo ad eletti tuoi servi, ti degni di
accogliere quale servo, uno come me, così misero e privo di meriti. A te
appartiene chiaramente tutto ciò che io posseggo e con cui ti servo. E invece
sei tu che mi servi, più di quanto io non serva te. Ecco, tutto fanno
prontamente, secondo il tuo comando, il cielo e la terra, che tu hai creati per
servizio dell'uomo. E questo è ancor poco; ché anche gli angeli li hai
predisposti per servizio dell'uomo. Ma, al di sopra di tutto ciò, sta il fatto
che tu stesso ti sei degnato di servire l'uomo, promettendogli in dono te
stesso. E io che darò, in cambio di tutti questi innumerevoli benefici? Potessi
stare al tuo servizio tutti i giorni della mia vita; potessi almeno riuscire a
servirti degnamente per un solo giorno. In verità, a te è dovuto ogni
servizio, ogni onore e ogni lode, in eterno. In verità tu sei il mio Signore,
ed io sono il tuo misero servo, che deve porre al tuo servizio tutte le sue
forze, senza mai stancarsi di cantare le tue lodi. Questo è il mio desiderio,
questa è la mia volontà. Degnati tu di supplire alle mie deficienze.
2. Mettersi al tuo servizio, disprezzando ogni cosa per amor tuo, è grande
onore e grande merito. Infatti, coloro che si saranno sottoposti spontaneamente
al tuo santo servizio avranno grazia copiosa. Coloro che, per tuo amore, avranno
lasciato ogni piacere della carne troveranno la soave consolazione dello Spirito
Santo. Coloro che, per il tuo nome, saranno entrati nella via stretta, lasciando
ogni cosa mondana, conseguiranno una grande libertà interiore. Quanto è grato
e lieto questo servire a Dio, che rende l'uomo veramente libero e santo. Quanto
è benedetta la condizione del religioso servizio, che rende l'uomo simile agli
angeli: compiacenza di Dio, terrore dei demoni, esempio ai fedeli. Con
indefettibile desiderio dobbiamo, dunque, abbracciare un tale servizio, che ci
assicura il sommo bene e ci fa conseguire una gioia perenne, senza fine.
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Capitolo
XI "VAGLIARE E FRENARE I DESIDERI DEL NOSTRO CUORE"
1. Figlio, tu devi imparare ancora molte cose, fin qui non bene apprese.
Signore, quali sono queste cose? Che tu indirizzi il tuo desiderio interamente
secondo la mia volontà; che tu non stia attaccato a te stesso; che ardentemente
tu brami di seguire la mia volontà. Sovente vari desideri ti accendono e urgono
in te fortemente. Ma devi riflettere se tu sia mosso dall'impulso di rendere
onore a me o non piuttosto di far piacere a te stesso. Se si tratta di me, sarai
pienamente felice, comunque io voglia che vadano le cose; se invece c'è sotto
una qualunque tua voglia, ecco, è questo che ti impedisce e ti appesantisce.
Guardati, dunque, dal basarti troppo su un desiderio concepito senza che io sia
stato consultato; affinché poi tu non abbia a pentirti; affinché non abbia a
disgustarti ciò che dapprima ti era sembrato caro e che avevi agognato, come
preferibile sopra ogni cosa.
1. In verità, non ogni moto, pur se ci appare degno di approvazione, va subito
favorito; ne ogni moto che ci ripugna va respinto fin dal principio. Occorre
talvolta che tu usi il freno, anche nell'intraprendere e nel desiderare cose
buone. Ché il tuo animo potrebbe poi esser distolto da ciò, come cosa
eccessiva; o potresti ingenerare scandalo in altri, per essere andato al di là
delle regole comuni; o potresti d'un tratto cadere in agitazione perché ti si
ostacola. Altra voce, invece, occorre che tu faccia violenza a te stesso,
andando virilmente contro l'impulso dei sensi. Occorre che tu non faccia caso a
ciò che la carne desidera o non desidera, preoccupandoti piuttosto che essa,
pur contro voglia, sia sottomessa allo spirito. Occorre che la carne sia
imbrigliata e costretta a stare soggetta, fino a che non sia pronta a tutto;
fino a che non sappia accontentarsi, lieta di poche e semplici cose, senza
esitare di fronte ad alcuna difficoltà.
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Capitolo
XII " L'EDUCAZIONE A PATIRE E LA LOTTA CONTRO LA CONCUPISCENZA"
1. Signore Dio, capisco che è per me veramente necessario saper soffrire,
giacché in questo mondo accadono tante avversità. Invero, comunque io abbia
disposto per la mia tranquillità, la mia vita non può essere esente dalla
lotta e dal dolore. Così è, o figlio. Ma tale è la mia volontà: tu non devi
andar cercando una pace, che non abbia e non senta tentazione o avversità; anzi
devi ritenere per certo di avere trovato pace, anche quando sarai afflitto da
varie tribolazioni e sarai provato da varie contrarietà. Se obietterai di non
riuscire ora a sopportare tanto, come riuscirai a sostenere poi il fuoco del
purgatorio? Tra due mali, scegliere sempre il minore.
Così, per poter sfuggire alle pene eterne future, vedi di sopportare, con
fermezza e per amore di Dio, i mali presenti. Credi forse che quelli che vivono
nel mondo non abbiano a patire per nulla, o soltanto un pochino?
No; questo non lo riscontrerai, nemmeno cercando tra le persone che vivono tra
gli agi più grandi. Tuttavia - mi dirai - costoro hanno molte gioie, fanno ciò
che loro più piace e alle loro tribolazioni non danno, perciò, gran peso.
Ammettiamo che le cose stiano così e che costoro abbiano tutto ciò che
vogliono. Ma quanto pensi che potrà durare? Ecco "come fumo si
disperderanno" (Sal 36,20) coloro che in questo mondo sono nell'abbondanza;
delle loro gioie di un tempo non resterà ricordo alcuno.
1. Di più, anche mentre sono ancora in vita, costoro non sono esenti da
amarezze, da noie e da timori.
Che anzi, frequentemente, proprio dalle stesse cose dalle quali si ripromettono
gioia, essi traggono una dolorosa pena. E giustamente per loro ciò accade.
Infatti, cercando essi ed inseguendo il piacere anche contro l'ordine disposto
da Dio, non lo raggiungono senza vergogna ed amarezza. Come è breve, questo
piacere e falso e contrario al volere di Dio; e come è turpe. Eppure gli
uomini, ebbri e ciechi, non capiscono; e, come bruti, vanno incontro alla morte
dell'anima per un piccolo piacere di questa vita corruttibile. Ma tu, figlio,
non andare dietro alle "tue concupiscenze; distogliti dal tuo
capriccio" (Sir 18,30). "Metti il tuo gaudio nel Signore; Egli ti darà
ciò che il tuo cuore domanderà" (Sal 36,4). In verità, se veramente
desideri la pienezza della gioia e della mia consolazione, ecco, la tua felicità
consisterà nel disprezzo di tutto ciò che è nel mondo e nel distacco da ogni
piacere. Così ti saranno concesse grandi consolazioni. Quanto più ti
allontanerai da ogni conforto che venga dalle creature, tanto più grandi e
soavi consolazioni troverai in me.
A questo non giungerai, però, senza avere prima sofferto e faticosamente
lottato. Farà resistenza il radicato costume; ma sarà vinto poi da una
abitudine migliore. Protesterà la carne, ma sarà tenuta in freno dal fervore
spirituale. Ti istigherà, fino all'esasperazione, l'antico serpente; ma sarà
messo in fuga dalla preghiera oppure gli sarà ostacolato un facile ingresso, se
ti troverà preso da un lavoro pratico.
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Capitolo
XIII "METTERSI AL DI SOTTO DI TUTTI IN UMILE OBBEDIENZA, SULL'ESEMPIO DI
GESU' CRISTO"
1. Figlio, colui che tenta di sottrarsi all'obbedienza si sottrae anche alla
grazia. Colui che cerca il bene suo personale perde anche il bene che è proprio
del vivere in comune. Colui che non si sottopone lietamente e spontaneamente al
suo superiore, dimostra che la carne non gli obbedisce ancora perfettamente, ma
spesso recalcitra e mormora. Impara dunque a sottometterti prontamente al tuo
superiore, se vuoi soggiogare la tua carne. Infatti, il nemico di fuori lo si
vincerà più presto, se sarà stato sconfitto l'uomo interiore.
Non c'è peggiore e più insidioso nemico dell'anima tua, di te stesso, quando
il corpo non si accorda con lo spirito. Per avere vittoria sulla carne e sul
sangue, devi assumere un totale e vero disprezzo di te.
Tu hai ancora invece un eccessivo e disordinato amore di te stesso; per questo
sei tanto esitante a rimetterti interamente alla volontà degli altri.
1. Ma che c'è di strano, se tu, polvere e nulla, ti sottoponi a un uomo, per
amore di Dio, quando io, onnipotente ed altissimo, che dal nulla ho creato tutte
le cose per amor tuo, mi feci piccolo fino a sottopormi all'uomo?
Mi sono fatto l'ultimo e il più piccolo di tutti, proprio perché, per questo
mio abbassarmi, tu potessi vincere la tua superbia. Impara ad obbedire, tu che
sei polvere; impara ad umiliarti, tu che sei terra e fango; impara a piegarti
sotto i piedi di tutti, a disprezzare i tuoi desideri e a metterti in totale
sottomissione.
Insorgi infiammato contro te stesso, e non permettere che in te si annidi la
tumefazione della superbia. Dimostrati così basso e così piccolo che tutti
possano camminare sopra di te e possano calpestarti come il fango della strada.
Che hai da lamentare tu, uomo da nulla. Che hai tu, immondo peccatore, da
contrapporre a coloro che ti accusano; tu, che tante volte hai offeso Dio,
meritando assai spesso l'inferno? Ma, ecco, apparve preziosa al mio sguardo
l'anima tua; ecco il mio occhio ebbe compassione di te, così che, conoscendo il
mio amore, tu avessi continua gratitudine per i miei benefici ed abbracciassi,
senza esitare, un'umile sottomissione, nella paziente sopportazione dell'altrui
disprezzo.
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Capitolo
XIV " PENSARE ALL'OCCULTO GIUDIZIO DI DIO, PER NON INSUPERBIRCI DEL
BENE"
1. Come tuono fai scendere sopra di me i tuoi giudizi, Signore; timore e terrore
scuotono tutte le mie ossa; l'anima mia si ritrae spaventata. Sbigottito penso
che neppure i cieli sono puri, di fronte a te. Se hai trovato dei malvagi
persino tra gli angeli e non li hai risparmiati, che cosa accadrà di me?
Caddero le stelle del cielo, ed io, che sono polvere, che cosa presumo di me?
Caddero nel profondo certuni, che sembrava avessero compiuto opere degne di
lode; certuni che mangiavano il pane degli angeli, li ho visti contentarsi delle
carrube che mangiavano i porci. Invero, non c'è santità se tu, o Signore,
togli la tua mano; la sapienza non serve a nulla, se tu cessi di reggerci; la
fortezza non giova, se tu cessi di custodirla; la castità non è sicura, se tu
non la difendi; la vigilanza su se stessi non vale, se tu non sei presente con
la tua santa protezione. Infatti se tu ci abbandoni, andiamo a fondo e moriamo;
se tu, invece, ci assisti ci teniamo ritti e viviamo. In verità, noi siamo
malfermi, ma tu ci rafforzi; siamo tiepidi, ma tu ci infiammi.
1. Oh!, come devo essere conscio della mia bassezza e della mia abiezione; e
come devo considerare un nulla quel poco di bene che mi possa sembrare di aver
fatto. Con quale pienezza di sottomissione devo accettare, o Signore, i tuoi
profondi giudizi, giacché mi trovo ad essere nient'altro che nulla e poi nulla.
E' cosa grande, invalicabile, questo riscontrare che di mio non c'è
assolutamente niente. Dove mai si nasconde la mia boria, dove finisce la
sicurezza che riponevo nella mia virtù. Ogni mia vuota vanteria è inghiottita
nella profondità dei tuoi giudizi sopra di me. Che cosa mai è l'uomo di fronte
a te? Forse che la creta può vantarsi nei confronti di colui che la plasma?
(cfr. Is 45,9). Come può gonfiarsi, con vane parole, colui che, in verità,
nell'intimo è soggetto a Dio? Neppure il mondo intero lo potrebbe far montare
in superbia, poiché la Verità stessa lo ha soggiogato. Neppure un elogio da
parte di tutti gli uomini lo potrebbe smuovere, poiché ha posto interamente la
sua speranza in Dio: infatti, quelli che fanno tanti elogi, ecco, non sono che
nulla, e scompariranno con il suono delle loro parole. Mentre la "parola
del Signore resta in eterno" (Sal 116,2).
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Capitolo
XV "COME COMPORTARCI E CHE COSA DIRE DI FRONTE A OGNI NOSTRO
DESIDERIO"
1. Figliolo, così tu devi dire in ogni cosa: Signore, se questa è la tua
volontà, così si faccia. Signore, se questo è per tuo amore, così si faccia,
nel tuo nome. Signore, se questo ti parrà necessario per me, e lo troverai
utile, fa' che io ne usi per il tuo onore; se invece comprenderai che questo è
male per me e non giova alla mia salvezza, toglimi questo desiderio. Infatti,
non tutti i desideri vengono dallo Spirito Santo, anche se a noi appaiono retti
e buoni. E' difficile giudicare veramente se sia uno spirito buono, o uno
spirito contrario, che ti spinge a desiderare questa o quell'altra cosa; oppure
se tu sia mosso da un sentimento personale.
Molti, che dapprima sembravano guidati da sentimento buono, alla fine si sono
trovati ingannati.
Perciò ogni cosa che balza alla mente come desiderabile sempre la si deve
volere e cercare con animo pieno di timor di Dio e con umiltà di cuore.
Soprattutto, ogni cosa va rimessa a me, con abbandono di se stessi, dicendo:
Signore, tu sai cosa sia meglio per me. Si faccia così, o altrimenti, secondo
la tua volontà.
Dammi quello che vuoi, e quanto vuoi e quando vuoi. Disponi di me secondo la tua
sapienza, la tua volontà e la tua maggior gloria. Mettimi dove tu vuoi, e fai
con me quello che vuoi, liberamente. Sono nelle tue mani; fammi rigirare per
ogni verso. Ecco, io sono il tuo servo, disposto a tutto, perché non voglio
vivere per me ma per te:
e volesse il cielo che ciò fosse in modo degno e perfetto.
Preghiera perché riusciamo a compiere la volontà di Dio.
2. Amorosissimo Gesù, dammi la tua grazia, perché "sia operante in
me" (Sap 9,10) e in me rimanga sino alla fine. Dammi di desiderare e di
volere ciò che più ti è gradito, e più ti piace. La tua volontà sia la mia
volontà; che io la segua e che ad essa mi confermi pienamente; che io abbia un
solo volere e disvolere con te; che io possa desiderare o non desiderare
soltanto quello che tu desideri e non desideri. Dammi di morire a tutte le cose
del mondo; fammi amare di esser disprezzato per causa tua, e di essere
dimenticato in questo mondo. Fammi bramare sopra ogni altra cosa di avere riposo
in te, e di trovare in te la pace del cuore. Tu sei la vera pace interiore, tu
sei il solo riposo; fuori di te ogni cosa è aspra e tormentosa. "In questa
pace, nella pace vera, cioè in te, unico sommo eterno bene, avrà riposo e
quiete" (Sal 4,9). Amen.
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Capitolo
XVI " SOLTANTO IN DIO VA CERCATA LA VERA CONSOLAZIONE"
1. Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia consolazione, non
l'aspetto qui, ora, ma in futuro. Ché, pure se io potessi avere e godere da
solo tutte le gioie e le delizie del mondo, certamente ciò non potrebbe durare
a lungo. Sicché, anima mia, non potrai essere pienamente consolata e
perfettamente confortata se non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli
umili. Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso e avrai in
cielo la pienezza di ogni bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali,
perderai quelli eterni del cielo: dei beni di quaggiù devi avere soltanto l'uso
temporaneo, col desiderio fisso a quelli eterni. Anima mia, nessun bene di
quaggiù, ti potrà appagare perché non sei stata creata per avere
soddisfazione in queste cose. Anche se tu avessi tutti i beni del mondo, non
potresti essere felice e beata, perché è in Dio, creatore di tutte le cose,
che consiste la tua completa beatitudine e la tua felicità. Non è una felicità
quale appare nella esaltazione di coloro che amano stoltamente questo mondo, ma
una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di Cristo; quale, talora, è
pregustata, fin da questo momento, da coloro che vivono dello spirito e dai puri
di cuore, "il cui pensiero è già nei cieli" (Fil 3,20).
2. Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini; santo e puro è
quello che la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo pio si porta con sé,
dappertutto, il suo consolatore, Gesù, e gli dice: o Signore Gesù, stammi
vicino in ogni luogo e in ogni tempo. La mia consolazione sia questa, di
rinunciare lietamente ad ogni conforto umano. Che se mi verrà meno la tua
consolazione, sia per me di supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa
giusta prova; poiché "non durerà per sempre la tua collera e le tue
minacce non saranno eterne"
(Sal 102,9).
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Capitolo
XVII "AFFIDARE STABILMENTE IN DIO OGNI CURA DI NOI STESSI"
1. Figlio, lascia che io faccia con te quello che voglio: io so quello che ti è
necessario. Tu hai pensieri umani e i tuoi sentimenti seguono spesso suggestioni
umane. Signore, è ben vero quanto dici. La tua sollecitudine per me è più
grande di ogni premura che io possa avere per me stesso. In verità, chi non
rimette in te tutte le sue preoccupazioni si affida proprio al caso. Signore,
purché la mia volontà sia continuamente retta e ferma in te, fai di me quello
che ti piace. Giacché, qualunque cosa avrai fatto di me non può essere che per
il bene. Se mi vuoi nelle tenebre, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nella
luce, che tu sia ancora benedetto. Se ti degni di darmi consolazione, che tu sia
benedetto; e se mi vuoi nelle tribolazione, che tu sia egualmente benedetto.
1. Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve essere il tuo atteggiamento.
Devi essere pronto a patire, come pronto a godere; devi lietamente essere privo
di tutto e povero, come sovrabbondante e ricco. Signore, qualunque cosa vorrai
che mi succeda, la sopporterò di buon grado per tuo amore. Con lo stesso animo
voglio accettare dalla tua mano bene e male, dolcezza e amarezza, gioia e
tristezza; e voglio renderti grazie per ogni cosa che mi accada. Preservami da
tutti i peccati, e non temerò né la morte né l'inferno. Purché tu non mi
respinga per sempre cancellandomi dal libro della vita, qualunque tribolazione
mi piombi addosso non mi farà alcun male.
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Capitolo
XVIII "SOPPORTARE SERENAMENTE LE MISERIE DI QUESTO MONDO SULL'ESEMPIO DI
CRISTO"
1. Figlio, io discesi dal cielo per la tua salvezza e presi sopra di me le tue
miserie, non perché vi fossi costretto, ma per slancio d'amore; e ciò perché
tu imparassi a soffrire e a sopportare senza ribellione le miserie di questo
mondo. Infatti, dall'ora della mia nascita fino alla morte in croce, non venne
mai meno in me la forza di sopportare il dolore. Ho conosciuto grande penuria di
beni terreni; ho udito molte accuse rivolte a me; ho sopportato con dolcezza
cose da far arrossire ed ingiurie; per il bene fatto ho ricevuto ingratitudine;
per i miracoli, bestemmie; per il mio insegnamento, biasimi.
1. Signore, tu ben sapesti patire per tutta la tua vita, compiendo pienamente,
in tal modo, la volontà del Padre tuo; perciò è giusto che io, misero
peccatore, sappia sopportare me stesso, fin quando a te piacerà; è giusto che,
per la mia salvezza, io porti il peso di questa vita corruttibile, fino a quando
tu vorrai. In verità, anche se noi la sentiamo come un peso, la vita di quaggiù,
per effetto della tua grazia, già fu resa capace di molti meriti e più
tollerabile e luminosa, per noi, povera gente, in virtù del tuo esempio e
dietro le orme dei tuoi santi.
Anzi la nostra vita è piena di consolazione, molto più di quanto non fosse al
tempo della vecchia legge, quando era ancora chiusa la porta del cielo e ancora
era nascosta la via di esso; quando erano ben pochi quelli che si davano
pensiero di cercare il regno dei cieli, e neppure i giusti, meritevoli di
salvezza, avevano potuto entrare nella patria celeste, non essendo ancora stato
pagato - prima della tua passione e della tua santa morte - il debito del
peccato. Oh, come ti debbo ringraziare per avere mostrato a me, e a tutti i tuoi
seguaci, la strada diritta e sicura verso l'eterno tuo regno! La nostra strada
è la tua vita stessa: attraverso una santa capacità di patire camminiamo verso
di te, che sei il nostro premio. Se tu non ci avessi preceduto, con questo
insegnamento, chi si prenderebbe cura di seguirti? Quanti rimarrebbero indietro
assai, se non potessero guardare al tuo esempio luminoso. Ecco, siamo ancora ben
poco fervorosi, pur dopo tanti miracoli e nonostante i tuoi ammaestramenti; che
cosa mai sarebbe di noi, se non avessimo avuto una così grande luce per
seguirti?
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Capitolo
XIX "LA CAPACITA' DI SOPPORTARE LE OFFESE E LA VERA PROVATA PAZIENZA"
1. Che è quello che vai dicendo, o figlio? Cessa il tuo lamento, tenendo
presenti le sofferenze mie e quelle degli altri santi. "Non hai resistito
ancora fino al sangue" (Eb 12,4). Ciò che tu soffri è poca cosa, se ti
metti a confronto con coloro che patirono tanto gravemente: così fortemente
tentati, così pesantemente tribolati, provati in vari modi e messi a dura
prova. Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per
imparare a sopportare le tue, piccole. Che se piccole non ti sembrano, vedi se
anche questo non dipenda dalla tua incapacità di sopportazione. Comunque, siano
piccoli o grandi questi mali, fa' in modo di sopportare tutto pazientemente. Il
tuo agire sarà tanto più saggio, e tanto più grande sarà il tuo merito,
quanto meglio ti sarai disposto al patire; anzi lo troverai anche più lieve,
se, intimamente e praticamente, sarai pronto e sollecito.
E non dire: questo non lo posso sopportare; non devo tollerare cose simili da
una tale persona, che mi fa del male assai, e mi rimprovera cose che non avevo
neppure pensato; da un altro, non da lui, le tollererei di buon grado, e
riterrei giusto doverle sopportare. E' una stoltezza un simile ragionamento.
Esso non tiene conto della virtù della pazienza, né di colui a cui spetta di
premiarla; ma tiene conto piuttosto delle persone e delle offese ricevute. Vero
paziente non è colui che vuole sopportare soltanto quel che gli sarà sembrato
giusto, e da chi gli sarà piaciuto. Vero paziente, invece, è colui che non
guarda da quale persona egli venga messo alla prova: se dal superiore, oppure da
un suo pari, o da un inferiore; se da un uomo buono o santo, oppure da un
malvagio, o da persona che non merita nulla. Vero paziente è colui che
indifferentemente - da qualunque persona, e per quante volte, gli venga qualche
contrarietà - tutto accetta con animo grato dalla mano di Dio; anzi lo ritiene
un vantaggio grande, poiché non c'è cosa, per quanto piccola, purché
sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso Dio.
1. Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi ottenere vittoria. Senza lotta
non puoi giungere ad essere premiato per la tua sofferenza. Se rifiuti la
sofferenza, rifiuti anche il premio; se invece desideri essere premiato, devi
combattere da vero uomo e saper sopportare con pazienza. Come al riposo non si
giunge se non dopo aver faticato, così alla vittoria non si giunge se non dopo
aver combattuto. Oh, Signore, che mi diventi possibile, per tua grazia, quello
che mi sembra impossibile per la mia natura: tu sai che ben scarsa è la mia
capacità di soffrire, e che al sorgere di una, sia pur piccola, difficoltà, mi
trovo d'un colpo atterrato.
Che mi diventi cara e desiderabile, in tuo nome, qualsiasi prova e qualsiasi
tribolazione: soffrire ed essere tribolato per amor tuo, ecco ciò che è
grandemente salutare all'anima mia.
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Capitolo
XX "RICONOSCERE LA PROPRIA DEBOLEZZA E LA MISERIA DI QUESTA NOSTRA
VITA"
1. "Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o
Signore, confesserò la mia debolezza.
Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di
comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi
trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla perché me ne
venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento
abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto.
"Guarda dunque, Signore, alla mia miseria"
(Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi
pietà di me; "tirami fuori dal fango, così che io non vi rimanga
confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre. Quello che mi
risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia
instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur
quando ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la
persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così, in lotta. La
mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che proprio i pensieri che
dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili a piombare su di me che ad
andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande
amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla
fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si
accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in
me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo
spirito, contro la quale bisogna combattere, finché si vive in questa
miserabile vita.
1. Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e miserie; dove
tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se scompare un'afflizione o una
tentazione, una altra ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne
sopraggiungono molte altre, e insospettate. Ora, come si può amare una vita così
soggetta a disgrazie e a miserie? Di più, come si può chiamare vita questa, se
da essa procedono tante morti e calamità?
E invece la si ama e molta gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo
viene sovente accusato di essere ingannevole e vano; ma non per questo viene
facilmente abbandonato, perché troppo prevalgono le brame terrene. Altro è ciò
che induce ad amare il mondo; altro è ciò che induce a condannarlo. Inducono
ad amarlo il desiderio dell'uomo carnale, "il desiderio degli occhi e la
superbia della vita" (1 Gv 2,16); inducono invece ad odiarlo e ad esserne
disgustato le pene e le sofferenze che giustamente conseguono a quei desideri
perversi.
E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri malvagi hanno il sopravvento in coloro
che hanno l'animo rivolto al mondo, e "considerano gioia lo stare tra le
spine" (Gb 30,7); incapaci, come sono, di vedere e di gustare la soavità
di Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli invece che disprezzano
totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in santa disciplina,
conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a chi sa davvero rinunciare;
essi comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e gli inganni del mondo.
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Cap.XXI
" IN DIO, AL DI SOPRA DI OGNI BENE E DI OGNI DONO, DOBBIAMO TROVARE LA
NOSTRA PACE"
1. O anima mia, in ogni cosa e al di sopra di ogni cosa, troverai riposo,
sempre, nel Signore, perché lui stesso costituisce la pace dei santi, in
eterno. Dammi, dolcissimo e amabilissimo Gesù, di trovare quiete in te.
In te, al di sopra di ogni creatura, di ogni ben e di ogni bellezza; al di sopra
di ogni gloria ed onore, potere e autorità; al di sopra di tutto il sapere, il
più penetrante; al di sopra di ogni ricchezza e capacità; al di sopra di ogni
letizia e gioia, e di ogni fama e stima degli uomini; al di sopra di ogni
dolcezza, consolazione, speranza o promessa umana; al di sopra di ogni ambita
ricompensa, di ogni dono o favore che, dall'alto, tu possa concedere; al di
sopra di ogni motivo di gaudio e di giubilo, che mente umana possa concepire e
provare; infine, al di sopra degli Angeli, degli Arcangeli e di tutte le schiere
celesti, al di sopra delle cose visibili e delle cose invisibili, e di tutto ciò
che non sia tu, Dio mio. In verità, o Signore mio Dio, tu sei eccellentissimo
su ogni cosa; tu solo sei l'altissimo e l'onnipotente; tu solo dai ogni
appagamento e pienezza e ogni dolcezza e conforto; tu solo sei tutta la bellezza
e l'amabilità; tu solo sei, più d'ogni cosa, ricco di nobiltà e di gloria;
in te sono, furono sempre e saranno, tutti quanti i beni, compiutamente. Perciò,
qualunque cosa tu mi dia,
che non sia te stesso, qualunque cosa tu mi riveli di te, o mi prometta, senza
che io possa contemplare o pienamente possedere te, è ben poco e non mi appaga.
Ché, in verità, il mio cuore non può realmente trovare quiete, e totale
soddisfazione se non riposi in te, portandosi più in alto di ogni dono e di
ogni creatura.
1. Cristo Gesù, mio sposo tanto amato, amico vero, signore di tutte le
creature, chi mi darà ali di vera libertà, per volare e giungere a posarmi in
te? Quando mi sarà dato di essere completamente libero da me stesso e di
contemplare la tua soavità, o Signore mio Dio? Quando mi raccoglierò
interamente in te, cosicché, per amor tuo, non mi accorga di me stesso, ma
soltanto di te, al di là del limite di ogni nostro sentire e in un modo che non
tutti conoscono? Ma eccomi qui ora a piangere continuamente e a portare
dolorosamente la mia infelicità. Giacché, in questa valle di miserie, molti
mali mi si parano innanzi: sovente mi turbano, mi rattristano e mi ottenebrano;
sovente mi intralciano il cammino o me ne distolgono, tenendomi legato e
impacciato, tanto da non poter accostarmi liberamente a te, a godere del gioioso
abbraccio, costantemente aperto agli spiriti beati. Che il mio sospiro e la
grande e varia desolazione di questo mondo abbiano a commuoverti, o Gesù,
splendore di eterna gloria, conforto dell'anima pellegrina. A te è rivolta la
mia faccia; senza che io dica nulla, è il mio silenzio che ti parla. Fino a
quando tarderà a venire il mio Signore? Venga a me, che sono il suo poverello,
e mi dia letizia; stenda la sua mano e strappi me misera da ogni angustia.
Vieni, vieni: senza di te non ci sarà una sola giornata, anzi una sola ora,
gioiosa, perché la mia gioia sei tu, e vuota è la mia mensa senza di te.
Un pover'uomo, io sono, quasi chiuso in un carcere e caricato di catene, fino a
che tu non mi abbia rifatto di nuovo, con la tua presenza illuminante,
mostrandomi un volto benevolo, e fino a che tu non mi abbia ridato la libertà.
Vadano altri cercando altra cosa, invece di te, dovunque loro piaccia. Quanto a
me, nulla mi è ora gradito, nulla mi sarà mai gradito, fuori di te, mio Dio,
mia speranza e salvezza eterna. Né tacerò, o smetterò di supplicare, fino a
che non torni a me la tua grazia e la tua parola non si faccia sentire dentro di
me.
2. Ecco, sono qua; eccomi a te, che mi hai invocato. Le tue lacrime, il
desiderio dell'anima tua, la tua umiliazione e il pentimento del tuo cuore mi
hanno piegato e mi hanno fatto avvicinare a te.
Dicevo io allora: ti avevo invocato, Signore, avevo desiderato di godere di te,
pronto a rinunciare ad ogni cosa per te; ma eri stato tu, per primo, che mi
avevi mosso a cercarti. Sii dunque benedetto, o Signore, tu che hai usato tale
bontà con questo tuo servo, secondo la grandezza della tua misericordia. Che
cosa mai potrà dire ancora, al tuo cospetto, il tuo servo, se non parole di
grande umiliazione dinanzi a te, sempre ricordandosi della propria iniquità e
della propria bassezza? Non c'è, infatti, tra tutte le meraviglie del cielo e
della terra, cosa alcuna che ti possa somigliare. Le tue opere sono perfette, e
giusti i tuoi comandi; per la tua provvidenza si reggono tutte le cose. Sia,
dunque, lode e gloria a te, o sapienza del Padre.
La mia bocca, la mia anima e insieme tutte le cose create ti esaltino e ti
benedicano.
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Capitolo
XXII " RICONOSCERE I MOLTI E VARI BENEFICI DI DIO"
1. Introduci, o Signore, il mio cuore nella tua legge e insegnami a camminare
nei tuoi precetti. Fa' che io comprenda la tua volontà; fa' che, con grande
reverenza e con attenta riflessione, io mi rammenti, uno per uno e tutti
insieme, i tuoi benefici, così che sappia rendertene degne grazie. Per altro,
so bene e confesso di non potere, neppure minimamente, renderti i dovuti
ringraziamenti di lode. Ché io sono inferiore a tutti i beni che mi sono stati
concessi. Quando penso alla tua altezza, il mio spirito viene meno di fronte a
questa immensità. Tutto ciò che abbiamo, nello spirito e nel corpo, tutto ciò
che possediamo, fuori di noi e dentro di noi, per natura e per grazia, tutto è
tuo dono; e sta a celebrare la benevolenza, la misericordia e la bontà di
colui, da cui riceviamo ogni bene. Che se uno riceve di più e un altro di meno,
tutto è pur sempre tuo: senza di te, non possiamo avere neppure la più piccola
cosa. Da un lato, chi riceve di più non può vantarsene come di un suo merito,
né innalzarsi sugli altri e schernire chi ha di meno. Più grande e più santo
è, infatti, colui che fa minor conto di se stesso e ringrazia Dio con maggiore
umiltà e devozione; più pronto a ricevere maggiormente è colui che si ritiene
più disprezzabile di tutti e si giudica più indegno. D'altro lati, chi riceve
di meno non deve rattristarsi, non deve indignarsi o nutrire invidia per chi ha
avuto di più; deve piuttosto guardare a te e lodare grandemente la tua bontà,
perché tu largisci i tuoi doni con tanta abbondanza e benevolenza, "senza
guardare alle persone" (1Pt 1,17).
1. Tutto viene da te. Che tu sia, dunque, lodato per ogni cosa. Quello che sia
giusto concedere a ciascuno, lo sai tu. Perché uno abbia di meno e un altro di
più, non possiamo comprenderlo noi, ma solo tu, presso cui sono stabilmente
definiti i meriti di ciascuno. Per questo, o Signore Iddio, io considero un
grande dono anche il non avere molte di quelle cose, dalle quali vengono lodi e
onori dall'esterno, secondo il giudizio umano.
Così, guardando alla sua povertà, e alla nullità della sua persona, nessuno
ne tragga un senso di oppressione, di tristezza e di abbattimento, ma invece ne
tragga consolazione e grande serenità; perché i poveri e coloro che stanno in
basso, disprezzati dal mondo, tu, o Dio, li hai scelti come tuoi intimi amici.
Una prova di questo è data dai tuoi apostoli. Tu li hai posti come
"principi su tutta la terra" (Sal 44,17); e tuttavia essi passarono in
questo mondo senza un lamento: tanto umili e semplici, tanto lontani da ogni
astuzia e malizia, che trovarono gioia anche nel sopportare oltraggi "a
causa del tuo nome" (At 5,41), abbracciando con grande slancio quello da
cui il mondo rifugge. Colui che ti ama, colui che apprezza i tuoi doni di nulla
deve esser lieto quanto di realizzare in sé la tua volontà e il comando dei
tuoi eterni decreti. Solo nel tuo volere egli deve trovare appagamento e
consolazione, tanto da desiderare di essere il più piccolo, con lo stesso
slancio con il quale altri può desiderare di essere il più grande. Colui che
ti ama deve trovare pace e contentezza nell'ultimo posto, come nel primo; deve
accettare di buon grado sia di essere disprezzato e messo in disparte, senza
gloria e senza fama, sia di essere onorato al di sopra degli altri e di emergere
nel mondo.
Invero, il desiderio di fare la tua volontà e di rendere gloria a te deve
prevalere in lui su ogni altra cosa, consolandolo e allietandolo più di tutti i
doni che gli siano stati dati o gli possano essere dati.
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Capitolo
XXIII "LE QUATTRO COSE CHE RECANO UNA VERA GRANDE PACE"
1. O figlio, ora ti insegnerò la via della pace e della vera libertà. Fa', o
Signore, come tu dici; mi è gradito ascoltare il tuo insegnamento. Studiati, o
figlio, di fare la volontà di altri, piuttosto che la tua.
Scegli sempre di aver meno, che più. Cerca sempre di avere il posto più basso
e di essere inferiore a tutti. Desidera sempre, e prega, che in te si faccia
interamente la volontà di Dio.
Un uomo che faccia tali cose, ecco, entra nel regno della pace e della
tranquillità. Una grande dottrina di perfezione è racchiusa, o Signore, in
queste tue brevi parole: brevi a dirsi, ma piene di significato e ricche di
frutto. Che se io potessi fedelmente custodirle, tali parole, nessun turbamento
dovrebbe tanto facilmente sorgere in me; in verità, ogni volta che mi sento
inquieto od oppresso, trovo che mi sono allontanato da questa dottrina. Ma tu,
che tutto puoi; tu che hai sempre caro il progresso dell'anima mia, accresci
sempre la tua grazia, così che io possa adempiere alle tue parole e raggiungere
la mia salvezza.
Preghiera contro i malvagi pensieri
2. O Signore, mio Dio, "non allontanarti da me; Dio mio, volgiti in mio
aiuto" (Sal 70,12); ché vennero contro
di me vari pensieri e grandi terrori, ad affliggere l'anima mia. Come ne uscirò
illeso, come mi aprirò un varco attraverso di essi? Dice il Signore: io andrò
innanzi a te e "abbatterò i grandi della terra" (Is 45,2).
Aprirò le porte della prigione e ti rivelerò i più profondi segreti. O
Signore, fa' come dici; e ogni iniquo pensiero fugga dinanzi a te. Questa è la
mia speranza, questo è il mio unico conforto: in tutte le tribolazioni
rifugiarmi
in te, porre la mia fiducia in te; invocarti dal profondo del mio cuore e
attendere profondamente la tua consolazione.
Preghiera per ottenere luce all'intelletto
3. Rischiarami, o buon Gesù, con la luce del lume interiore, e strappa ogni
tenebra dal profondo del mio cuore; frena le varie fantasie; caccia le
tentazioni che mi fanno violenza; combatti valorosamente per me e vinci queste
male bestie, dico le allettanti concupiscenze, cosicché, per la forza che viene
da te, si faccia pace, e nell'aula santa, cioè nella coscienza pura (Sal
121,7), risuoni la pienezza della tua lode.
Comanda ai venti e alle tempeste. Dì al mare "calmati", al vento
"non soffiare"; e si farà grande bonaccia
(Mt 8,26).
"Manda la tua luce e la tua verità" (Sal 52,3) a brillare sulla
terra; ché terra io sono, povera e vuota, fino a quando tu non mi illumini.
Effondi dall'alto la tua grazia; irriga il mio cuore di celeste rugiada; versa
l'acqua della devozione ad irrigare la faccia della terra, che produca buono,
ottimo frutto.
Innalza la mia mente schiacciata dalla mole dei peccati; innalza alle cose
celesti tutto l'animo mio, in modo che gli rincresca di pensare alle cose di
questo mondo, dopo aver gustato la dolcezza della felicità suprema. Strappami e
distoglimi dalle effimere consolazioni che danno le creature; poiché non v'è
cosa creata che
possa soddisfare il mio desiderio e darmi pieno conforto.
Congiungimi a te con il vincolo indissolubile dell'amore, poiché tu solo basti
a colui che ti ama, e a nulla valgono tutte le cose, se non ci sei tu.
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Capitolo
XXIV "GUARDARSI DALL'INDAGARE CURIOSAMENTE LA VITA DEGLI ALTRI"
1. Figlio, non essere curioso; non prenderti inutili affanni. Che t'importa di
questo e di quello? "Tu segui me" (Gv 21,22). Che ti importa che
quella persona sia di tal fatta, o diversa, o quell'altra agisca e dica così e
così? Tu non dovrai rispondere per gli altri; al contrario renderai conto per
te stesso. Di che cosa dunque ti vai impicciando? Ecco, io conosco tutti, vedo
tutto ciò che accade sotto il sole e so la condizione di ognuno: che cosa uno
pensi, che cosa voglia, a che cosa miri la sua intenzione. Tutto deve essere,
dunque, messo nelle mie mani. E tu mantieniti in pace sicura, lasciando che
altri si agiti quanto crede, e metta agitazione attorno a sé: ciò che questi
ha fatto e ciò che ha detto ricadrà su di lui, poiché, quanto a me, non mi può
ingannare.
2. Non devi far conto della vanità di un grande nome, né delle molte amicizie,
né del particolare affetto di varie persone: tutte cose che sviano e danno un
profondo offuscamento di spirito. Invece io sarò lieto di dirti la mia parola e
di palesarti il mio segreto, se tu sarai attento ad avvertire la mia venuta, con
piena apertura del cuore. Stai dunque in guardia, veglia in preghiera (1 Pt
4,7), e umiliati in ogni cosa (Sir 3,20).
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Cap.XXV"IN
CHE CONSISTONO LA STABILITA' DELLA PACE INTERIORE E IL PROGRESSO SPIRITUALE
1. O figlio, così ho detto "io vi lascio la pace; vi dono la mia pace; non
quella, però, che dà il mondo"
(Gv 14,27). Tutti tendono alla pace; non tutti però si preoccupano di ciò che
caratterizza la vera pace.
La mia pace è con gli umili e i miti di cuore; e la tua pace consisterà nel
saper molto sopportare.
Se mi ascolterai e seguirai le mie parole, potrai godere di una grande pace. Che
farò dunque? In ogni cosa guarda bene a quello che fai e a quello che dici. Sia
questa la sola tua intenzione, essere caro soltanto a me; non desiderare né
cercare altro, fuori di me; non giudicare mai avventatamente quello che dicono o
fanno gli altri e non impicciarti in faccende che non ti siano state affidate.
In tal modo potrai essere meno turbato, o più raramente; ché non sentire mai
turbamento alcuno e non patire alcuna noia, nello spirito e nel corpo,
non è di questa vita, ma è condizione propria della pace eterna.
2. Perciò non credere di aver trovato la vera pace, soltanto perché non senti
difficoltà alcuna; non credere che tutto vada bene, soltanto perché non hai
alcuno che ti si ponga contro; non credere che tutto sia perfetto, soltanto
perché ogni cosa avviene secondo il tuo desiderio; non pensare di essere
qualcosa di grande o di essere particolarmente caro a Dio, soltanto perché ti
trovi in stato di grande e soave devozione.
Non è da queste cose, infatti, che si distingue colui che ama veramente la virtù;
non è in queste cose che consistono il progresso e la perfezione dell'uomo. In
che cosa, dunque, o Signore? Nell'offrire te stesso, con tutto il cuore, al
volere di Dio, senza cercare alcunché di tuo, nelle piccole come nelle grandi
cose, per il tempo presente come per l'eternità; così che tu sia sempre, alla
stessa maniera, imperturbabilmente, in atto di ringraziamento, bilanciando bene
tutte le cose, le prospere e le contrarie. Quando sarai tanto forte e generoso
nella fede che, pur avendo perduta ogni consolazione interiore, saprai disporre
il tuo animo a soffrire ancor di più - senza trovare scuse, come se tu non
dovessi subire tali e tanto grandi patimenti -; anzi quando mi proclamerai
giusto e mi dirai santo qualunque sia la mia volontà, allora sì che tu
camminerai nella vera e giusta strada della pace; allora sì che avrai la sicura
speranza di rivedere con gioia il mio volto.
Se poi arriverai a disprezzare pienamente te stesso, sappi che allora godrai di
pace sovrabbondante , per quanto è possibile alla tua condizione di pellegrino
su questa terra.
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Cap.XXVI"
L'ECCELSA LIBERTA' DELLO SPIRITO, FRUTTO DELL'UMILE PREGHIERA PIU' CHE DELLO
STUDIO"
1. O Signore, questo è il compito di chi vuole essere perfetto: non staccarsi
mai spiritualmente dal tendere alle cose celesti e passare tra le molte
preoccupazioni quasi senza affanno. E ciò non già per storditezza, ma per quel
tal privilegio, proprio di uno spirito libero, di non essere attaccato ad alcuna
cosa creata, con un affetto che sia contrario al volere di Dio. Ti scongiuro, o
mio Dio pieno di misericordia, tienimi lontano dalle preoccupazioni di questa
vita, così che esse non mi siano di troppo impaccio; tienimi lontano dalle
molte esigenze materiali, così che io non sia prigioniero del piacere; tienimi
lontano da tutto quanto è di ostacolo all'anima, così che io non finisca
schiacciato da queste difficoltà. E non voglio dire che tu mi tenga lontano
soltanto dalle cose che la vanità di questo mondo brama con pieno ardore; ma da
tutte quelle miserie che, a causa della comune maledizione dell'umanità,
gravano dolorosamente sull'anima del tuo servo, impedendole di accedere, a sua
voglia, alla libertà dello spirito.
2. O mio Dio, dolcezza ineffabile, muta in amarezza per me ogni piacere
terrestre: esso mi distoglie dall'amare le cose eterne e mi avvince tristemente
a sé, facendomi balenare qualcosa che, al momento, appare buono e gradito. O
mio Dio, non sia più forte di me la carne, non sia più forte di me il sangue;
non mi inganni il mondo, con la sua gloria passeggera; non mi vinca il diavolo,
con la sua astuzia. Dammi fortezza a resistere, pazienza a sopportare, costanza
a perseverare. In luogo di tutte le consolazioni del mondo, dammi la dolcissima
unzione del tuo spirito; in luogo dell'attaccamento alle cose della terra,
infondi in me l'amore della tua gloria.
Ecco, per uno spirito fervoroso sono ben pesanti e cibo e bevanda e vestito e
tutte le altre cose utili a sostenere il corpo. Di queste cose utili fa' che io
usi moderatamente, senza attaccarmi ad esse con desiderio eccessivo. Abbandonare
tutto non si può, perché alla natura si deve pur dare sostentamento; ma la
santa legge di Dio vieta di cercare le cose superflue e quelle che danno
maggiormente piacere. Diversamente la carne si porrebbe sfacciatamente contro lo
spirito. Tra questi due estremi, mi regga la tua mano, o Signore, te ne prego; e
mi guidi, per evitare ogni eccesso.
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Capitolo
XXVII "PIU' DI OGNI ALTRA COSA L'AMORE DI SE STESSO RALLENTA IL NOSTRO
PASSO VERSO IL SOMMO BENE"
1. O figlio, per avere tutto, devi dare tutto e non più appartenerti per nulla:
sappi che l'amore di te stesso ti danneggia più di ogni altra cosa di questo
mondo. Ciascuna cosa sta più o meno fortemente a te abbracciata, a seconda
dell'amore e della passione che tu porti per essa. Ma se il tuo sarà un amore
puro, libero e conforme al volere di Dio, sarai affrancato dalla schiavitù
delle cose. Non desiderare ciò che non ti è lecito avere; non volere ciò che
ti può essere d'impaccio, privandoti della libertà interiore. Pare incredibile
che tu non ti rimetta a me, dal profondo del cuore, con tutto te stesso e con
tutte le cose che puoi desiderare ed avere.
Perché ti consumi in vana tristezza? Perché ti opprimi con inutili affanni?
Sta' al mio volere, e non subirai
alcun nocumento. Se tu andrai cercando questo o quest'altro; se vorrai essere
qui oppure là, per conseguire maggiormente il tuo comodo e il tuo piacere, non
sarai mai in pace, libero da angosce; perché in ogni cosa ci sarà qualche
difetto e dappertutto ci sarà uno che ti contrasta.
2. Quello che giova, dunque, non è ciò che possa essere da noi raggiunto o
fatto più grande, fuori di noi; quello che giova è ciò che viene da noi
disprezzato e strappato radicalmente dal nostro cuore.
E questo va inteso non solamente della stima, del denaro o delle ricchezze, ma
anche della bramosia degli onori e del desiderio di vane lodi: tutte cose che
passano, col passare di questo mondo.
Non sarà un certo luogo che ti darà sicurezza, se ti manca il fervore
spirituale.
Non sarà una pace cercata fuori di te che reggerà a lungo, se ti manca quello
che è il vero fondamento della fermezza del cuore: vale a dire se tu non sei
saldamente in me. Puoi trasferirti altrove, quanto vuoi; ma non puoi migliorare
te stesso. Se, affacciandosi un'occasione, la coglierai, troverai ancora, e
ancora di più,
quello che avevi fuggito.
Preghiera per ottenere la purificazione del cuore e la celeste sapienza.
3. O Dio, dammi vigore, con la grazia dello Spirito Santo; fa' che il mio cuore
si liberi da ogni vano, angoscioso tormento, senza lasciarsi allettare da vari
desideri di cosa alcuna, di poco prezzo o preziosa; fa' che io guardi tutte le
cose come passeggere, e me con esse, parimenti passeggero, poiché nulla resta
fermo, sotto il sole, qui dove tutto è "vanità e afflizione di
spirito" (Qo 1,14). Quanto è saggio chi ragiona così.
Dammi, o Signore, la celeste sapienza; così che io apprenda a cercare e a
trovare te, sopra ogni cosa; apprenda a gustare e ad amare te, sopra ogni cosa;
apprenda a considerare tutto il resto per quello che è, secondo il posto
assegnatogli dalla sapienza.
Dammi la prudenza, per saper allontanare chi mi lusinga;
dammi la pazienza, per sopportare chi mi contrasta.
Perché qui è grande saggezza, nel non lasciarsi smuovere da ogni vuota parola
e nel non prestare orecchio alla sirena che perfidamente ci invita.
Cominciata in tal modo la strada, si procede in essa con sicurezza.
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Capitolo
XXVIII " CONTRO LE LINGUACCE DENIGRATRICI"
O figlio, non sopportare di mal animo se certuni danno un cattivo giudizio su di
te e dicono, nei tuoi confronti, parole che non ascolti con piacere. Il tuo
giudizio su te stesso deve essere ancora più grave; devi credere che non ci sia
nessuno più debole di te. Se terrai conto massimamente dell'interiorità, non
darai molto peso a parole che volano; giacché, nei momenti avversi, è
prudenza, e non piccola, starsene in silenzio, volgendo l'animo a me, senza
lasciarsi turbare dal giudizio della gente. La tua pace non riposi nella parola
degli uomini. Che questi ti abbiano giudicato bene o male, non per ciò sei
diverso.
Dove sta la vera pace, dove sta la vera gloria? Non forse in me? Godrà di
grande pace chi non desidera di piacere agli uomini, né teme di spiacere ad
essi. E' appunto da un tale desiderio, contrario al volere di Dio,
e da un tale vano timore, che nascono tutti i turbamenti del cuore e tutte le
deviazioni degli affetti.
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Capitolo
XXIX "INVOCARE E BENEDIRE DIO NELLA TRIBOLAZIONE"
"Sia sempre benedetto il tuo nome" (Tb 3,23), o Signore; tu che hai
disposto che venisse su di me questa tormentosa tentazione. Sfuggire ad essa non
posso; devo invece rifugiarmi in te, perché tu mi aiuti, mutandomela in bene.
Signore, ecco io sono nella tribolazione: non ha pace il mio cuore, anzi è
assai tormentato da questa passione.
Che dirò, allora, o Padre diletto? Sono stretto tra queste angustie;
"fammi uscire salvo da un tale momento.
Ma a tale momento io giunsi" (Gv 12,27) perché, dopo essere stato
fortemente abbattuto e poi liberato per merito tuo, tu ne fossi glorificato.
"Ti piaccia, o Signore, di salvarmi tu" (Sal 39,14); infatti che cosa
posso fare io nella mia miseria; dove andrò, senza di te? Anche in questo
momento di pericolo dammi di saper sopportare; aiutami tu, o mio Dio: non avrò
timore di nulla, per quanto grande sia il peso che graverà su di me.
E frattanto che dirò? O Signore, "che sia fatta la tua volontà" (Mt
26,42). Bene le ho meritate, la tribolazione e l'oppressione; e ora debbo invero
saperle sopportare, - e, volesse il cielo, sopportare con pazienza - finché la
tempesta sia passata e torni la bonaccia.
La tua mano onnipotente può fare anche questo, togliere da me questa tentazione
o mitigarne la violenza, affinché io non perisca del tutto: così hai già
fatto più volte con me, "o mio Dio e mia misericordia" (Sal 58,17).
Quanto è a me più difficile, tanto è più facile a te "questo
cambiamento della destra dell'Altissimo" (Sal 76,11).
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Capitolo
XXX "CHIEDERE L'AIUTO DI DIO, NELLA FIDUCIA DI RICEVERE LA SUA GRAZIA"
1. O figlio, io sono "il Signore, che consola nel giorno della
tribolazione" (Na 1,7). Vieni a me, quando sei in pena. Quello che pone
maggiore ostacolo alla celeste consolazione è proprio questo, che troppo tardi
tu
ti volgi alla preghiera. Infatti, prima di rivolgere a me intense orazioni, tu
vai cercando vari sollievi e ti conforti
in cose esteriori. Avviene così che nulla ti è di qualche giovamento, fino a
che tu non comprenda che sono io la salvezza di chi spera in me, e che, fuori di
me, non c'è aiuto efficace, utile consiglio, rimedio durevole.
Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca, devi trovare nuovo vigore nella
luce della mia misericordia. Giacché ti sono accanto, dice il Signore, per
restaurare ogni cosa, con misura, non solo piena, ma colma.
C'è forse qualcosa che per me sia difficile; oppure somiglierò io ad uno che
dice e non fa? Dov'è la tua fede? Sta saldo nella perseveranza; abbi animo
grande e virilmente forte. Verrà a te la consolazione, al tempo suo. Aspetta
me; aspetta: verrò e ti risanerò. E' una tentazione quella che ti tormenta; è
una vana paura quella che ti atterrisce. A che serve la preoccupazione di quel
che può avvenire in futuro, se non a far sì che tu aggiunga tristezza a
tristezza? "Ad ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6,34). Vano e
inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose future, che forse non accadranno mai.
2. Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da queste fantasie; ed è segno della
nostra pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente verso le suggestioni
del nemico. Il quale non bada se ti illuda o ti adeschi con cose vere o false;
non badare se ti abbatta con l'attaccamento alle cose presenti o con il timore
delle cose future. "Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia
timore" (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia nella mia misericordia.
Spesso, quando credi di esserti allontanato da me, io ti sono accanto; spesso,
quando credi che tutto, o quasi, sia perduto, allora è vicina la possibilità
di un merito più grande. Non tutto è perduto quando accade una cosa contraria.
Non giudicare secondo il sentire umano. Non restare così schiacciato da alcuna
difficoltà, da qualunque parte essa venga; non subirla come se ti fosse tolta
ogni speranza di riemergere.
Non crederti abbandonato del tutto, anche se io ti ho mandato, a suo tempo,
qualche tribolazione o se ti ho privato della sospirata consolazione. Così,
infatti, si passa nel regno dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli altri miei
servi, essere provati dalle avversità è più utile che avere tutto a comando.
Io conosco i pensieri nascosti; so che, per la tua salvezza, è molto bene che
tu sia lasciato talvolta privo di soddisfazione, perché tu non abbia a
gonfiarti del successo e a compiacerti di ciò che non sei. Quel che ho dato
posso riprenderlo e poi restituirlo, quando mi piacerà. Quando avrò dato, avrò
dato cosa mia; quando avrò tolto, non avrò tolto cosa tua; poiché mio è
"tutto il bene che viene dato"; mio è "ogni dono perfetto"
(Gc 1,17).
3. Non indignarti se ti avrò mandato una gravezza o qualche contrarietà; né
si prostri l'animo tuo: io ti posso subitamente risollevare, mutando tutta la
tristezza in gaudio. Io sono giusto veramente, e degno di molta lode, anche
quando opero in tal modo con te. Se senti rettamente, se guardi alla luce della
verità, non devi mai abbatterti così, e rattristarti, a causa delle avversità,
ma devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie; devi anzi considerare gaudio
supremo questo, che io non ti risparmi e che ti affligga delle sofferenze.
"Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9), dissi ai
miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo
mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non
all'ozio, ma alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto
nella sofferenza. Ricordati, figlio mio, di queste parole.
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Capitolo
XXXI "ABBANDONARE OGNI CREATURA PER POTER TROVARE DIO"
1. O Signore, davvero mi occorre una grazia sempre più grande, se debbo
giungere là dove nessuno né alcuna cosa creata mi potrà essere di impaccio;
infatti, finché una qualsiasi cosa mi trattenga, non potrò liberamente volare
a te. E liberamente volare a te, era appunto, l'ardente desiderio di colui che
esclamava: "Chi mi darà ali come di colomba, e volerò, e avrò
pace?" (Sal 54,7). Quale pace più grande di quella di un occhio puro?
Quale libertà più grande di quella di chi non desidera nulla di terreno?
Occorre dunque passare oltre ad ogni creatura; occorre tralasciare pienamente se
stesso, uscire spiritualmente da sé; occorre capire che tu, che hai fatto tutte
le cose, non hai nulla in comune con le creature. Chi non è libero da ogni
creatura, non potrà attendere liberamente a ciò che è divino. Proprio per
questo sono ben pochi coloro che sanno giungere alla contemplazione, perché
pochi riescono a separarsi appieno dalle cose create, destinate a perire.
Per giungere a ciò, si richiede una grazia grande, che innalzi l'anima e la
rapisca più in alto di se medesima. Ché, se uno non è elevato nello spirito e
libero da ogni creatura; se non è totalmente unito a Dio, tutto quello che sa e
anche tutto quello che possiede non ha grande peso. Sarà sempre piccolo e
giacerà a terra colui che apprezza qualcosa che non sia il solo, unico, immenso
ed eterno bene. In verità ogni cosa, che non sia Dio, è un nulla, e come un
nulla va considerata. Ben differenti sono la virtù della sapienza, propria
dell'uomo illuminato e devoto, e la scienza, propria dell'erudito e dotto uomo
di studio. Giacché la sapienza che emana da Dio, e fluisce dall'alto in noi, è
di gran lunga più sublime di quella che faticosamente si acquista con il nostro
intelletto.
1. Troviamo non poche persone che desiderano la contemplazione, ma poi non si
preoccupano di mettere in pratica ciò che si richiede per la contemplazione
stessa; e il grande ostacolo consiste in questo, che ci si accontenta degli
indizi esterni e di ciò che cade sotto i sensi, possedendo ben poco della
perfetta mortificazione. Non so come sia, da quale spirito siamo mossi, a quale
meta tendiamo, noi che sembriamo aver fama di spirituali: ci diamo tanta pena e
ci preoccupiamo tanto di queste cose che passano e non hanno valore alcuno,
mentre a stento riusciamo, qualche rara volta, a pensare al nostre essere
interiore, in totale raccoglimento. Un raccoglimento breve, purtroppo; dopo del
quale ben presto ci buttiamo alle cose esteriori, senza più sottoporre il
nostro agire a un vaglio severo. Dove siano posti e ristagnino i nostri affetti,
noi non badiamo; e non ci disgusta che tutto sia corrotto. Invece il grande
diluvio avvenne perché "ciascuno aveva corrotto la sua vita" (Gn
6,12). Quando, dunque, la nostra interna inclinazione è profondamente guastata,
necessariamente si guasta anche la conseguente azione esterna, rivelatrice di
scarsa forza interiore.
E' dal cuore puro che discendono frutti di vita virtuosa. Si indaga quanto uno
abbia fatto, ma non si indaga attentamente con quanta virtù egli abbia agito.
Si guarda se uno sia stato uomo forte e ricco e nobile; se sia stato abile e
valente scrittore, cantante eccellente o bravo lavoratore; ma si tace, da parte
di molti, su quanto egli sia stato povero in spirito e paziente e mite e devoto,
e quanta spiritualità interiore egli abbia avuto.
La natura bada alle cose esterne dell'uomo; la grazia si rivolge alle cose
interiori. Quella frequentemente si inganna, questa si affida a Dio per non
essere ingannata.
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Capitolo
XXXII " RINNEGARE SE STESSI E RINUNCIARE AD OGNI DESIDERIO"
1. O figlio, se non avrai rinnegato totalmente te stesso, non potrai avere una
perfetta libertà. Infatti sono come legati, tutti coloro che portano amore alle
cose e a se stessi, pieni di bramosia e di curiosità, svagati, sempre in cerca
di mollezze. Essi vanno spesso immaginando e raffigurando, non ciò che è di
Gesù Cristo, ma ciò che è perituro; infatti ogni cosa che non è nata da Dio
scomparirà. Tieni ben ferma questa massima, breve e perfetta: tralascia ogni
cosa; rinunzia alle brame e troverai la pace. Quando avrai attentamente meditato
nel tuo cuore questa massima, e l'avrai messa in pratica, allora comprenderai
ogni cosa. O Signore, non è, questa, una faccenda che si possa compiere in un
giorno; non è un gioco da ragazzi. Che anzi in queste brevi parole si racchiude
tutta la perfezione dell'uomo di fede.
1. O figlio, non devi lasciarti piegare, non devi subito abbatterti, ora che hai
udito quale è la strada di chi vuole essere perfetto. Devi piuttosto sentirti
spinto a cose più alte; almeno ad aspirare ad esse col desiderio. Volesse il
cielo che così fosse per te; che tu giungessi a non amare più te stesso, e ad
attenerti soltanto alla volontà mia e di colui che ti ho mostrato quale padre.
Allora tu mi saresti assai caro e la tua vita si tramuterebbe tutta in una pace
gioiosa. Ma tu hai ancora molte cose da abbandonare; e se non rinunzierai a
tutte le cose e del tutto, per me, non otterrai quello che chiedi. "Il mio
invito è che, per farti più ricco, tu acquisti da me l'oro colato" (Ap
3,18), vale a dire la celeste sapienza, che sovrasta tutto ciò che è basso;
che tu lasci indietro e la sapienza di questo mondo ed ogni soddisfazione di se
stesso ed ogni compiacimento degli uomini. Il mio invito è che tu, in luogo di
ciò che è ritenuto prezioso e importante in questo mondo, acquisti una cosa
disprezzante: la vera sapienza, che viene dal cielo ed appare qui disprezzata
assai, piccola e quasi lasciata in oblio. Sapienza che non presume molto di sé,
non ambisce ad essere magnificata quaggiù e viene lodata a parole da molti, i
quali, con la loro vita, le stanno invece lontani.
Eppure essa è la gemma preziosa, che i più lasciano in disparte.
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Cap.XXXIII
"L'INSTABILITA' DEL NOSTRO CUORE E LA INTENZIONE ULTIMA DEVE ESSERE POSTA
IN DIO"
figlio, non ti fidare della disposizione d'animo nella quale ora ti trovi; ben
presto essa muterà in una disposizione diversa. Per tutta la vita sarai
oggetto, anche se tu non lo vuoi, a tale mutevolezza.
Volta a volta, sarai trovato lieto o triste, tranquillo o turbato, fervente
oppure no, voglioso o pigro, pensoso o spensierato. Ma colui che è ricco di
sapienza e di dottrina spirituale si pone saldamente al di sopra di tali
mutevolezze, non badando a quello che senta dentro di sé, o da che parte spiri
il vento della instabilità; badando, invece, che tutto il proposito dell'animo
suo giovi al fine dovuto e desiderato.
Così infatti egli potrà restare sempre se stesso in modo irremovibile, tenendo
costantemente fisso a me, pur attraverso così vari eventi, l'occhio puro della
sua intenzione.
E quanto più puro sarà l'occhio dell'intenzione, tanto più sicuro sarà il
cammino in mezzo alle varie tempeste. Ma quest'occhio puro dell'intenzione, in
molta gente, è offuscato, perché lo sguardo si volge presto a qualcosa di
piacevole che balzi dinanzi. E poi raramente si trova uno che sia esente del
tutto da questo neo, di cercare la propria soddisfazione: Come gli Ebrei, che
erano venuti, quella volta, a Betania, da Marta e Maria, "non già per
vedere Gesù, ma per vedere Lazzaro" (Gv 12,9).
Occorre, dunque, che l'occhio dell'intenzione sia purificato, reso semplice e
retto; occorre che esso, al di là di tutte le varie cose che si frappongono,
sia indirizzato a me.
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Capitolo
XXXIV "CHI E' RICCO D'AMORE GUSTA DIO IN TUTTO E AL DI SOPRA DI OGNI
COSA"
1. Ecco, mio Dio e mio tutto. Che voglio di più; quale altra cosa posso io
desiderare per la mia felicità?
O parola piena di dolce sapore, sapore però che gusta soltanto colui che ama il
Verbo, non colui che ama il mondo e le cose del mondo! Mio Dio e mio tutto. E'
detto abbastanza per chi ha intelletto; ed è una gioia, per chi ha amore,
ripeterlo spesso. In verità, se tu sei con noi, recano gioia tutte le cose; se,
invece, tu sei lontano, tutto infastidisce. Sei tu che dai pace al cuore: una
grande pace e una gioia festosa.
Sei tu che fai gustare rettamente ogni cosa e fai sì che noi ti lodiamo in
tutte le cose.
Senza di te nulla ci può dare diletto durevole. Perché una cosa possa esserci
gradita e rettamente piacevole, occorre che la tua grazia non sia assente;
occorre che questa cosa sia condita del condimento della tua sapienza. C'è
forse una cosa che uno non sappia rettamente gustare, se questi ha gusto di te?
E che cosa mai potrà esserci di gioioso per uno che non ha gusto di te?
Dinanzi alla tua sapienza, scompaiono i sapienti di questo mondo; scompaiono
anche coloro che amano ciò che è carnale: tra quelli si trova una grande vanità,
tra questi la morte. Veri sapienti sono riconosciuti , all'incontro, coloro che
seguono te, disprezzando le cose di questo mondo e mortificando la carne: veri
sapienti, perché passati dalla vanità alla verità, dalla carne allo spirito.
Sono questi che sanno gustare Dio, e riconducono a lode del Creatore tutto ciò
che di buono si trova nelle creature.
1. Diversi, molto diversi per noi, sono il gusto che dà il Creatore e il gusto
che dà la creatura; quello dell'eternità e quello del tempo; quello della luce
increata e quello della luce che viene data.
O eterna luce, che trascendi ogni luce creata, manda dall'alto un lampo
splendente, che tutto penetri nel più profondo del mio cuore! Rendi puro e
lieto e limpido e vivo il mio spirito, in tutte le sue facoltà; che esso sia
intimamente unito a te, in un gioioso abbandono. Quando, dunque, verrà quel
momento beato ed atteso, in cui tu mi appagherai pienamente con la tua presenza
e sarai tutto e in tutto per me? Fino a quando questo non mi sarà concesso, non
ci sarà per me una piena letizia. Ancora, purtroppo, vive in me l'uomo vecchio;
ancora non è totalmente crocefisso, non è morto del tutto; ancora si pone
duramente, con le sue brame, contro lo spirito; muove lotte interiori e non
permette che il regno dell'anima abbia pace. Ma "tu, che comandi alla forza
del mare e plachi il moto dei flutti (Sal 88,10), levati in mio soccorso (Sal
43,25); disperdi le genti che vogliono la guerra (Sal 67,31)abbattile con la tua
potenza" (Sal 58,12). Mostra, te ne scongiuro, le tue opere grandi, e sarà
data gloria alla tua speranza, altro rifugio non mi è dato se non in te,
Signore Dio mio.
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Capitolo
XXXV "IN QUESTA VITA, NESSUNA CERTEZZA DI ANDARE ESENTI DA TENTAZIONI"
1. O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero dall'inquietudine: finché
avrai vita, avrai bisogno d'essere spiritualmente armato. Ti trovi tra nemici e
vieni assalito da destra e da sinistra. Perciò, se non farai uso, da una parte
e dall'altra, dello scudo della fermezza, non tarderai ad essere ferito. Di più,
se non terrai il tuo animo fisso in me, con l'unico proposito di tutto soffrire
per amor mio, non potrai reggere l'ardore della lotta e arrivare al premio dei
beati. Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e avere braccio valido contro
ogni ostacolo: "la manna viene concessa al vittorioso" (Ap 2,17),
mentre una miseria grande è lasciata a chi manca di ardore.
1. Se vai cercando la tua pace in questa vita, come potrai giungere alla pace
eterna? Non a una piena di tranquillità, ma a una grande sofferenza ti devi
preparare. Giacché la pace vera non la devi cercare in terra, ma nei cieli; non
negli uomini, o nelle altre creature, ma soltanto in Dio. Tutto devi lietamente
sopportare, per amore di Dio: fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie,
miserie e malanni; ingiurie, biasimi e rimproveri; umiliazioni e sbigottimenti;
ammonizioni e critiche sprezzanti. Cose, queste, che aiutano nella via della
virtù e costituiscono una prova per chi si è posto al servizio di Cristo;
cose, infine, che preparano la corona del cielo. Ché una eterna ricompensa io
darò un travaglio di breve durata; e una gloria senza fine, per una umiliazione
destinata a passare.
2. Forse tu credi di poter sempre avere le consolazioni spirituali a tuo
piacimento? Non ne ebbero sempre neppure i miei santi; i quali soffrirono,
invece, tante difficoltà e tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni.
Sennonché, con la virtù della sopportazione, essi si tennero sempre ritti,
confidando più in Dio che in se stessi; consci che "le sofferenze del
momento presente non sono nulla a confronto della conquista della gloria
futura" (Rm 8,18). O vuoi tu avere subito quello che molti ottennero a
stento, dopo tante lacrime e tante fatiche? "Aspetta il Signore, comportati
da uomo" (Sal 26,14), e fatti forza; non disperare, non disertare.
Disponiti, invece, fermamente, anima e corpo, per la gloria di Dio.
Strabocchevole sarà la mia ricompensa.
Io sarò con te in ogni tribolazione.
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Capitolo
XXXVI "CONTRO I VUOTI GIUDIZI UMANI"
1. O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel Signore; e se la coscienza ti
proclama onesto e senza colpa, non temere il giudizio degli uomini. Cosa buona e
santa è sopportare il giudizio umano; cosa non gravosa per chi è umile di
cuore e confida in Dio, più che in se stesso. C'è molta gente che parla tanto:
e, perciò, poco è il credito che le si deve dare. Del resto, fare contenti
tutti non è possibile. Che se Paolo cercò di piacere a tutti nel Signore e si
fece "tutto per tutti" (1Cor 9,22), tuttavia non diede alcuna
importanza al fatto d'essere giudicato da questo tempo"(1Cor 4,3). Egli
operò grandemente, con tutto se stesso e con tutte le sue forze, per
l'edificazione e la salvezza del prossimo; ma non poté impedire che talvolta
fosse giudicato e persino disprezzato dagli altri. Per questo, tutto mise nelle
mani di Dio, a cui tutto è noto. Con la pazienza e con l'umiltà egli si difese
dalla sfrontatezza di quelli che dicevano iniquità o pensavano vuotaggini e
menzogne o buttavano fuori ogni cosa a loro capriccio: pur talvolta rispondendo,
perché dal suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli.
1. "Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo mortale? " (Is 51,12).
L'uomo, oggi c'è, e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e non ti
sgomenterai di ciò che può farti paura da parte degli uomini.
Che cosa può un uomo contro di te, con parole e improperi? Egli nuoce a se
stesso, più che a te; né potrà sfuggire al giudizio di Dio, chiunque egli
sia. Per quanto ti riguarda, tu tieni fissi gli occhi in Dio, e "non voler
opporti a lui, con parole di lamento" ("Tm 2,14). Che se, al momento,
sembra che tu soccomba e che tu sia coperto di vergogna immeritata, non devi,
per questo, sdegnarti; né devi fare che sia più piccolo il tuo premio, per
difetto di pazienza. Guarda, invece, a me, cui è dato di strappare l'uomo da
ogni ingiustizia, "rendendo a ciascuno secondo le sue opere" (Mt
16,27; Rm 2,6).
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Capitolo
XXXVII "L'ASSOLUTA E TOTALE RINUNCIA A SE STESSO PER OTTENERE LIBERTA' DI
SPIRITO"
1. O figlio, abbandona te stesso, e mi troverai. Vivi libero da preferenze,
libero da tutto ciò che sia tuo proprio, e ne avrai sempre vantaggio; ché una
grazia sempre più grande sarà riversata sopra di te, non appena avrai
rinunciato a te stesso, senza volerti più riavere. O Signore, quante volte dovrò
rinunciare, e in quali cose dovrò abbandonare me stesso? Sempre, e in ogni
momento, sia nelle piccole come nelle grandi cose. Nulla io escludo: ti voglio
trovare spogliato di tutto. Altrimenti, se tu non fossi interiormente ed
esteriormente spogliato di ogni tua volontà, come potresti essere mio; e come
potrei io essere tuo? Più presto lo farai, più sarai felice; più
completamente e sinceramente lo farai, più mi sarai caro e tanto maggior
profitto spirituale ne trarrai. Ci sono alcuni che rinunciano a se stessi, ma
facendo certe eccezioni: essi non confidano pienamente in Dio, e perciò si
affannano a provvedere a se stessi. Ci sono alcuni che dapprima offrono tutto;
ma poi, sotto i colpi della tentazione, ritornano a ciò che è loro proprio,
senza progredire minimamente nella virtù. Alla vera libertà di un cuore puro e
alla grazia della rallegrante mia intimità, costoro non giungeranno, se non
dopo una totale rinuncia e dopo una continua immolazione; senza di che non si ha
e non si avrà una giovevole unione con me.
1. Te l'ho detto tante volte, ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te
stesso e godrai di grande pace interiore. Da' il tutto per il tutto; non
cercare, non richiedere nulla; sta' risolutamente soltanto in me, e mi
possederai, avrai libertà di spirito, e le tenebre non ti schiacceranno. A
questo debbono tendere il tuo sforzo, la tua preghiera, il tuo desiderio: a
saperti spogliare di tutto ciò che è tuo proprio, a metterti nudo al seguito
di Cristo nudo, a morire a te stesso, a vivere sempre in me. Allora i vani
pensieri, i perversi turbamenti, le inutili preoccupazioni, tutto questo
scomparirà. Allora scompariranno il timore dissennato, e ogni amore non
conforme al volere di Dio.
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Capitolo
XXXVIII "IL BUON GOVERNO DI SE' NELLE COSE ESTERNE E IL RICORSO A DIO NEI
PERICOLI"
1. O figlio, tu devi attentamente mirare a questo, che dappertutto, e in
qualunque azione ed occupazione esterna, tu rimanga interiormente libero e
padrone di te; che le cose siano tutte sotto di te, e non tu sotto di esse.
Cosicché tu abbia a dominare e governare i tuoi atti, e tu non sia come un
servo o mercenario, ma tu sia libero veramente come l'ebreo, che passa dalla
servitù alla condizione di erede e alla libertà dei figli di Dio. I figli di
Dio stanno al di sopra delle cose di questo mondo, e tengono gli occhi fissi
all'eterno; guardano con l'occhio sinistro le cose che passano, e con il destro
le cose del cielo; infine non sono attratti, così da attaccarvisi, dalle cose
di questo tempo, ma traggono le cose a sé, perché servano al bene, così come
sono state disposte da Dio e istituite dal sommo artefice. Il quale nulla
lascia, in alcuna sua creatura, che non abbia il suo giusto posto.
1. Se, di fronte a qualunque avvenimento, non ti fermerai all'apparenza esterna
e non apprezzerai con occhio carnale tutto ciò che vedi ed ascolti; se,
all'incontro, in ogni questione, entrerai subito, come Mosè, sotto la tenda,
per avere consiglio dal Signore, udrai talvolta la risposta di Dio, e ne uscirai
istruito su molte cose di oggi e del futuro. Era solito Mosè ritornare alla sua
tenda, per dubbi e quesiti da risolvere; era solito rifugiarsi nella preghiera,
per alleviare i pericoli e le perversità degli uomini. Così anche tu devi
rifugiarti nel segreto del tuo cuore, implorando con tanta intensità l'aiuto
divino. Che se - come si legge - Giosuè e i figli di Israele furono raggirati
dai Gabaoniti, fu proprio perché non chiesero prima il responso del Signore;
ma, facendo troppo affidamento su questi allettanti discorsi, furono traditi da
una falsa benevolenza.
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Capitolo
XXXIX " NESSUN AFFANNO NEL NOSTRO AGIRE"
1. O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al tempo giusto disporrò sempre
io per il meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai vantaggio. O Signore,
di gran cuore affido a te ogni cosa; poco infatti potranno giovare i miei piani.
Volesse il cielo che io non fossi tanto preso da ciò che potrà accadere in
futuro, e mi offrissi, invece, senza esitare alla tua volontà.
1. O figlio, capita spesso che l'uomo persegua con ardore alcunché di cui sente
la mancanza; e poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare diversamente,
perché i nostri amori non restano fermi intorno a uno stesso punto, e ci
spingono invece da una cosa all'altra. Non è una questione da nulla rinunciare
a se stessi, anche in cose di poco conto. Il vero progresso dell'uomo consiste
nell'abnegazione di sé. Pienamente libero e sereno è appunto soltanto chi
rinnega se stesso. Ecco, però, che l'antico avversario, il quale si pone contro
tutti coloro che amano il bene, non tralascia la sua opera di tentazione; anzi,
giorno e notte, prepara gravi insidie, se mai gli riesca di far cadere nel
laccio dell'inganno qualcuno che sia poco guardingo. "Vegliate e pregate,
dice i Signore, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41).
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Capitolo
XL "NULLA DI BUONO HA L'UOMO DA SE' E DI NULLA PUO' VANTARSI"
1. "O Signore, che cosa è l'uomo, che tu abbia a ricordarti di lui? Che
cosa è il figlio dell'uomo, che tu venga a lui?" (Sal 8,5). Quali meriti
ha mai l'uomo, perché tu gli dia la tua grazia? O Signore, di che posso
lamentarmi se mi abbandoni; che cosa posso, a buon diritto, addurre se tu non mi
concedi quello che chiedo?
Soltanto questo, in verità, posso dire, con certezza, in cuor mio: Signore,
nulla io sono, nulla posso, nulla di buono io ho da me stesso; anzi fallisco in
ogni cosa, tendendo sempre al nulla. Se non vengo aiutato da te e plasmato
interiormente, mi infiacchisco totalmente e mi abbandono. "Invece tu, o
Signore, sei sempre te stesso e tale resti in eterno" (Sal 101, 28.31),
immutabilmente buono, giusto, santo, talché fai e disponi ogni cosa con
sapienza. Io, invece, essendo più pronto a regredire che ad avanzare, non mi
mantengo sempre nella stessa condizione; che anzi "sette tempi diversi
passano sopra di me" (Dn 4, 13.20.22); anche se il mio stato può, d'un
tratto, mutarsi in meglio, non appena tu lo vuoi, e mi porgi la mano
soccorritrice.
Da te solo, infatti, non già dall'uomo soccorso, mi può venire l'aiuto e il
dono della fermezza, cosicché la mia faccia non muti continuamente, e il mio
cuore si volga solo a te, e in te trovi pace. Dunque, se io fossi capace di
disprezzare ogni consolazione degli uomini - sia per conseguire maggior fervore,
sia per rispondere al bisogno di cercare te, in mancanza di chi mi possa
confortare - allora potrei fondatamente sperare nella tua grazia ed esultare del
dono di una rinnovellata consolazione.
1. Siano rese grazie a te; a te dal quale tutto discende, se qualcosa di buono
mi accade.
Ché io non sono altro che vanità, "anzi un nulla, al tuo cospetto"
(Sal 38, 6), un uomo incostante e debole.
Di che cosa posso io vantarmi; come posso pretendere di essere stimato? Forse
per quel nulla che io sono? Sarebbe vanità sempre più grande. O veramente
vuota vanteria, peste infame, massima presunzione, che distoglie dalla vera
gloria, privandoci della grazia del cielo. Giacché mentre si compiace di se
stesso, l'uomo dispiace a te; mentre ambisce ad essere lodato dagli altri, si
spoglia della vera virtù. Vera gloria, invece, e gaudio santo, è gloriarci in
te, non in noi; trovare compiacimento nel tuo nome, non nella nostra virtù; non
cercare diletto in alcuna creatura, se non per te. Sia lodato il tuo nome, non
il mio; siano esaltate le tue opere, non le mie; sia benedetto il tuo nome
santo, e a me non sia data lode alcuna da parte degli uomini.
Tu sei la mia gloria e la gioia del mio cuore; in te esulterò e mi glorierò
sempre: "per nulla invece in me,
se non nella mia debolezza" ("Cor 12,5). Lasciando ai Farisei il
cercare gloria gli uni dagli altri, io cercherò quella gloria che viene solo da
Dio. A confronto della tua gloria eterna, è vanità e stoltezza ogni lode che
viene dagli uomini, ogni onore di quaggiù, ogni mondana grandezza.
O mia verità e mia misericordia, mio Dio, Trinità beata, a te solo sia lode,
onore, virtù e gloria, per gli infiniti secoli dei secoli!
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Capitolo
XLI "IL DISPREZZO DI OGNI ONORE DI QUESTO MONDO"
Figlio, non crucciarti se vedi che altri sono onorati ed innalzati, mentre tu
sei disprezzato ed umiliato.
Drizza il tuo animo a me, nel cielo; così non ti rattristerà il disprezzo
degli uomini, su questa terra.
O Signore, noi siamo come ciechi e facilmente ci lasciamo sedurre
dall'apparenza.
Ma se esamino seriamente me stesso, non c'è cosa che possa essermi fatta da
alcuna creatura che sia un torto nei miei confronti: dunque non avrei motivo di
lamentarmi con te. E', appunto, perché spesso e gravemente ho peccato al tuo
cospetto, che qualsiasi creatura si può muovere a ragione contro di me. A me,
dunque, è giusto che si dia vergogna e disprezzo; a te invece, lode, onore e
gloria. E se non mi sarò ben predisposto a desiderare di essere disprezzato da
ogni creatura, ad essere buttato in un canto e ad essere considerato proprio un
nulla, non potrò trovare pace e serenità interiore; non potrò essere
spiritualmente illuminato e pienamente a te unito.
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Capitolo
XLII "LA NOSTRA PACE NON DOBBIAMO PORLA NEGLI UOMINI"
1. O figlio, se la tua pace l'attendi da qualcuno, secondo il tuo sentimento e
il piacere di stare con lui, avrai sempre incertezza ed impacci. Se, invece, tu
ricorrerai alla verità, sempre viva e stabile, non sarai contristato per
l'abbandono da parte di un amico; neppure per la sua morte. Su di me deve essere
fondato l'amore per l'amico; in me deve essere amato chi ti appare degno e ti è
particolarmente caro in questa vita; senza di me non regge e non dura
l'amicizia; non c'è legame d'amicizia veramente puro, se non sono io ad
annodarlo.
Perciò tu devi essere totalmente morto ad ogni attaccamento verso persone che
ti siano care così da preferire, per quanto sta in te, di essere privo di ogni
umana amicizia.
1. Tanto più ci si avvicina a Dio, quanto più ci si ritira lontano da ogni
conforto terreno. Tanto più si ascende in alto, a Dio, quanto più si entra nel
profondo di noi stessi, persuadendosi di non valere proprio nulla.
Che se uno, invece, attribuisce a sé qualcosa di buono, questi ostacola la
venuta della grazia divina il lui; giacché la grazia dello Spirito Santo cerca
sempre un cuore umile. Se tu sapessi annichilirti e uscire da ogni affetto di
quaggiù, liberandoti da ogni attaccamento di questo mondo, allora, certamente,
io verrei a te, con larghezza di grazia; infatti, quando guardi alle creature,
ti si sottrae la vista del Creatore.
Per amore del Creatore, dunque, vinci te stesso, in tutte le cose; così potrai
giungere a conoscere Dio.
Se una cosa, per quanto piccola sia, la si ama e ad essa si guarda non
rettamente, questa ti ostacola la via verso il sommo Dio, e ti corrompe.
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Capitolo
XLIII "CONTRO L'INUTILE SCIENZA DI QUESTO MONDO"
1. Figlio, non ti smuovano i ragionamenti umani, per quanto eleganti e profondi;
ché "il regno di Dio non consiste nei discorsi, ma nelle virtù"
(1Cor 4,20). Guarda alle mie parole; esse infiammano i cuori e illuminano le
menti; conducono al pentimento e infondono molteplice consolazione. Che tu non
legga mai neppure una parola al fine di poter apparire più dotto e più
sapiente. Attendi, invece, alla mortificazione dei vizi; cosa che ti gioverà
assai più che essere a conoscenza di molti difficili problemi. Per quanto tu
abbia molto studiato ed appreso, dovrai sempre tornare al principio primo. Sono
io "che insegno all'uomo la sapienza" (Sal 93,10);
sono io che concedo ai piccoli una conoscenza più chiara di quella che possa
essere impartita dall'uomo.
Colui per il quale sono io a parlare, avrà d'un tratto la sapienza e progredirà
assai nello spirito.
Guai a coloro che vanno ricercando presso gli uomini molte strane nozioni, e
poco si preoccupano di quale
sia la strada del servizio a me dovuto. Verrà il tempo in cui apparirà il
maestro dei maestri, Cristo signore
degli angeli, ad ascoltare quel che ciascuno ha da dire, cioè ad esaminare la
coscienza di ognuno.
Allora Gerusalemme sarà giudicata in gran luce (Sof 1,12). Allora ciò che si
nascondeva nelle tenebre
apparirà in piena chiarezza; allora verrà meno ogni ragionamento fatto di sole
parole.
1. Sono io che innalzo la mente umile, così da farle comprendere i molti
fondamenti della verità eterna;
più che se uno avesse studiato a scuola per dieci anni. Sono io che insegno,
senza parole sonanti, senza complicazione di opinioni diverse, senza
contrapposizione di argomenti; senza solennità di cattedra.
Sono io che insegno a disprezzare le cose terrene, a rifuggire da ciò che è
contingente e a cercare l'eterno; inoltre, a rifuggire dagli onori, a sopportare
le offese, a riporre ogni speranza in me, a non desiderare nulla all'infuori di
me e ad amarmi con ardore, al di sopra di ogni cosa. In verità ci fu chi, solo
con il profondo amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le sue parole erano
meravigliose. Abbandonando ogni cosa, egli aveva imparato assai più che
applicandosi a sottili disquisizioni. Ad alcuni rivolgo parole valevoli per
tutti; ad altri rivolgo parole particolari. Ad alcuni appaio con la mite luce di
figurazioni simboliche, ad altri rivelo i misteri con grande fulgore. La voce
dei libri è una sola, e non plasma tutti in egual modo. Io, invece, che sono
maestro interiore, anzi la verità stessa, io che scruto i cuori e comprendo i
pensieri e muovo le azioni degli uomini, vado distribuendo a ciascuno secondo
che ritengo giusto.
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XLIV "NON CI SI DEVE ATTACCARE ALLE COSE ESTERIORI"
1. O figlio, molte cose occorre che tu le ignori, considerandoti come morto su
questa terra, come uno per cui il mondo intero è crocifisso; molte altre cose,
occorre che tu vi passi in mezzo, senza prestare ascolto, meditando piuttosto su
ciò che costituisce la tua pace. Giova di più distogliere lo sguardo da ciò
che non approviamo, lasciando che ciascuno si tenga il suo parere, piuttosto che
metterci in accanite discussioni.
Se sarai in regola con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai più
facilmente la vittoria.
1. Signore, a che punto siamo arrivati? Ecco per una perdita nelle cose di
questo mondo, si piange; per un piccolo guadagno ci si affatica e si corre.
Invece un danno spirituale passa nell'oblio, e a stento, troppo tardi,
si ritorna in sé. Ci si preoccupa di ciò che non serve a nulla o a ben poco; e
ciò che è sommamente
necessario lo si lascia da parte con negligenza. Giacché l'uomo inclina tutto
verso le cose esteriori, e beatamente vi si acquieta, se subito non si ravvede.
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XLV "NON FARE AFFIDAMENTO SU ALCUNO: LE PAROLE FACILMENTE INGANNANO"
1. "Aiutami, o Signore, nella tribolazione, perché è vana la salvezza che
viene dagli uomini" (Sal 59,13). Quante volte non trovai affatto fedeltà,
proprio là dove avevo creduto di poterla avere; e quante volte, invece,
la trovai là dove meno avevo creduto. Vana è, dunque, la speranza negli
uomini, mentre in te, o Dio, sta la salvezza dei giusti. Sii benedetto, o
Signore mio Dio, in tutto quanto ci accade. Deboli siamo, e malfermi; facilmente
ci inganniamo e siamo mutevoli. Quale uomo è tanto prudente e tanto attento da
saper sempre custodire se stesso, così da non cadere mai in qualche delusione e
incertezza?
Ma non cadrà così facilmente colui che confida in te, o Signore, e ti cerca
con semplicità di cuore. Che se incontrerà una tribolazione, in qualunque modo
sia oppresso, subitamente ne sarà strappato da te, o sarà da
te consolato, poiché tu non abbandoni chi spera in te, fino all'ultimo. Cosa
rara è un amico sicuro, che resti tale in tutte le angustie dell'amico. Ma tu,
o Signore, tu solo sei sempre pienamente fedele: non c'è amico siffatto, fuori
di te.
1. Quale profonda saggezza ci fu in quell'anima santa che poté dire: il mio
spirito è saldo, e fondato su Cristo! Se così fosse anche per me, non sarei
tanto facilmente agitato da timori umani, né mi sentirei ferito dalle parole.
Chi può mai prevedere ogni cosa e cautelarsi dai mali futuri? Se, spesso, anche
ciò che era previsto riesce dannoso, con quanta durezza ci colpirà ciò che è
imprevisto? Perché non ho meglio provveduto a me misero?; e perché mi sono
affidato tanto leggermente ad altri? Siamo uomini, nient'altro che fragili
uomini, anche se molti ci ritengono e ci dicono angeli. Oh, Signore, a chi
crederò; a chi, se non a te?
Tu sei la verità che non inganna e non può essere ingannata; mentre
"l'uomo è sempre bugiardo" (Sal 115,11), debole, insicuro e mutevole,
specie nelle parole, tanto che a stento ci si può fidare subito di quello che,
in apparenza, pur ci sembra buono. Con quanta sapienza tu già ci avevi ammonito
che ci dobbiamo guardare
dagli uomini; che "nemici dell'uomo sono i suoi più vicini" (Mt
10,36); che non si deve credere se uno dice: "ecco qua, ecco là!" (Mt
24,23; Mc 13,21)! Ho imparato a mie spese, e voglia il cielo che ciò mi serva
per acquistare maggiore prudenza e non ricadere nella stoltezza. Bada, mi dice
taluno, bada bene, e serba per te quel che ti dico. Ma, mentre io sto zitto
zitto, credendo che la cosa resti segreta, neppure lui riesce a tacere ciò per
cui mi aveva chiesto il silenzio: improvvisamente mi tradisce, tradendo anche se
stesso; e se ne va.
Oh, Signore, difendimi da siffatte fandonie e dalla gente stolta, cosicché io
non cada nelle loro mani, e mai
non commetta simili cose. Da' alla mia bocca una parola vera e sicura, e lontana
da me il linguaggio dell'inganno. Che io mi guardi in ogni modo da ciò che non
vorrei dover sopportare da altri.
2. Quanta bellezza e quanta pace, fare silenzio intorno agli altri; non credere
pari pari ad ogni cosa, né andare ripetendola; rivelare sé stesso soltanto a
pochi; cercare sempre te, che scruti i cuori, senza lasciarsi portare di qua e
di là da ogni vuoto discorso; volere che ogni cosa interiore ed esterna, si
compia secondo la tua volontà! Quale tranquillità, fuggire le apparenze umane,
per conservare la grazia celeste; non ambire a ciò che sembri assicurare
ammirazione all'esterno, e inseguire invece, con ogni sollecitudine, ciò che
assicura emendazione di vita e fervore! Di quanto danno fu, per molti, una virtù
a tutti nota e troppo presto lodata.
Di quanto vantaggio fu, invece, una grazia conservata nel silenzio, durante
questa nostra fragile vita, della quale si dice a ragione che è tutta una
tentazione e una lotta!
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XLVI "AFFIDARSI A DIO QUANDO SPUNTANO PAROLE CHE FERISCONO"
1. O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se non
parole?: volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad
emendarti di buona voglia; se ti senti innocente, considera di doverle
sopportare lietamente per amor di Dio. Non è gran cosa che tu sopporti talvolta
almeno delle parole, tu che non sei capace ancora di sopportare forti
staffilate. E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono nell'animo, se non
perché tu ragioni ancora secondo la carne e dai agli uomini più importanza di
quanto sia giusto? Solo per questo, perché hai paura che ti disprezzino, non
vuoi che ti rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti dietro qualche
scusa. Se guardi più a fondo in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano
desiderio di piacere agli uomini sono ancora vivi dentro in te. Se rifuggi
dall'esser poco considerato e dall'esser rimproverato per i tuoi difetti, segno
è che non sei sinceramente umile né veramente morto al mondo, e che il mondo
è per te crocefisso. Ascolta, invece la mia parola e non farai conto neppure di
diecimila parole umane. Ecco, anche se molte cose si potessero inventare e dire,
con malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero fare esse, se tu le
lasciassi del tutto passare, non considerandole più che una pagliuzza?
Ti potrebbero forse strappare anche un solo capello? Chi non ha spirito di
interiorità e non tiene Iddio
dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola
offensiva.
Chi invece, senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà
libero dal timore degli uomini.
Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i segreti; io so come è
andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che patisce
l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché
io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di
tutti" (Lc 2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma
voglio che prima siano saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.
1. La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio,
invece, è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto
via via a pochi, esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare
ingiusto agli occhi di chi non ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni
giudizio e non ci si fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti non resterà
turbato, "qualunque cosa gli venga" da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa
sia stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne darà molto pensiero;
così come non si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà scagionato da
altri. Il giusto considera, infatti, che "sono io colui che scruta i cuori
e le reni" (Ap 2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza
umana. Invero, sovente ai miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il
giudizio umano, passa degno di lode.
O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso" (Sal 7,12), tu
che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza e tutta
la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che io
non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e
sopportarlo con mansuetudine.
Per tutte le volte che mi comportai in tal modo, perdonami, nella tua
benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande sopportazione. In
verità, a conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi giova di più
che non mi giovi una mia supposta santità a difesa della mia segreta coscienza.
Ché, "pur quando non sentissi di dovermi nulla rimproverare", non
potrei per questo ritenermi giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per la tua
misericordia, "nessun vivente sarebbe giusto, al tuo cospetto" (Sal
142,2).
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XLVII "OGNI COSA GRAVOSA VA SOPPORTATA, PER CONSEGUIRE LA VITA ETERNA"
1. O figlio, non lasciarti sopraffare dai compiti che ti sei assunto per amor
mio; non lasciarti mai abbattere
dalle tribolazioni. In ogni evenienza ti dia, invece, forza e consolazione la
mia promessa; ché io ben so
ripagare al di là di qualsiasi limite e misura. Non durerà a lungo la tua
sofferenza quaggiù; non continuerà per sempre il peso dei tuoi dolori. Attendi
un poco, e li vedrai finire d'un tratto, questi dolori; verrà il momento in
cui fatiche ed agitazioni cesseranno. E' poca cosa, e dura poco, tutto ciò che
passa con questa vita.
Fa quel che devi; lavora fedelmente nella mia vigna: io stesso sarò la tua
ricompensa.
Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta virilmente le avversità:
premio a tutto questo, alle più grandi lotte, è la vita eterna. Sarà pace, in
quell'ora che sa il Signore. E non ci sarà giorno e notte, come adesso,
ma perpetua luce, chiarità infinita, pace ferma e sicura tranquillità. Allora
non dirai: "chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24); e
non esclamerai "ohimé!, quanto si prolunga questo mio stare quaggiù"
(Sal 119,5). Ché la morte sarà annientata e vi sarà piena salvezza, senza
ombra di angustia; e, intorno a te, una gioia beata, una soave schiera gloriosa.
1. Oh!, se tu vedessi il premio eterno che ricevono i santi in cielo; se tu
vedessi di quanta gloria esultano ora, essi che un tempo erano ritenuti
spregevoli e quasi immeritevoli di vivere, per certo, ti getteresti subito a
terra, preferendo essere inferiore a tutti, piuttosto che eccellere anche su di
un solo; non desidereresti giorni lieti in questa vita, godendo piuttosto delle
tribolazioni sopportate per amore di Dio,; infine crederesti che il guadagno più
grande consiste nell'essere considerato un nulla tra gli uomini. Oh!, se queste
cose avessero un gusto per te e ti scendessero nel profondo del cuore, come
oseresti fare anche il più piccolo lamento?
Forse che, per la vita eterna, non si deve sopportare ogni tribolazione? Non è
cosa di poco conto, perdere o guadagnare il regno di Dio. Alza, dunque, il tuo
sguardo al cielo: eccomi, insieme a tutti i miei santi, i quali sopportano
grandi lotte, nella vita di quaggiù. Ora essi sono nella gioia, ricevono
consolazione, stanno nella serenità, nella pace e nel riposo. E resteranno con
me nel regno del Padre mio, per sempre.
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XLVIII "LA VITA ETERNA E LE ANGUSTIE DELLA VITA PRESENTE"
1. O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che
la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno
sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo
che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel
giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre,
per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano
e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia
quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante
l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i
giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti
peccati e irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da
molti affanni, distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane,
circondato da molti errori, atterrito da molte fatiche, appesantito dalle
tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno. Oh!, quando finiranno
questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù dei vizi; quando,
nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta la mia
gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun gravame
della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla turbata,
pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù,
quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno;
quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da
te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed
esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu
il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te
con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo, essa mi è
invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di
raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le
passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di
sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia
voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me
stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.
1. Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando
alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle
cose carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e
"non allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i
tuoi fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno
sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei
sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che
appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini
con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché
nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché
ogni cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi,
nella tua misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro
fuori che a te. In verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto
distratto; ché, ben spesso, io non sono là dove materialmente sto e seggo, ma
sono invece là dove vengo portato dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io
sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta ciò che io amo; è quello che
fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine, che mi viene d'un
tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti chiaramente:
"dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il
cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle
gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse
sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel
pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste
parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato
invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e
che, facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore
dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione
pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando,
dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.
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XLIX "IL DESIDERIO DELLA VITA ETERNA. I GRANDI BENI PROMESSI A QUELLI CHE
LOTTANO"
1. Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine;
quando aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare
il mio splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con
grande sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla
superna bontà, che si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di
te; ti risolleva con ardore e ti innalza con forza, cosicché, con la tua
pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le tue cose terrene. Tutto ciò,
infatti, non lo devi ad una tua iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto al
favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda a te. Ti sarà dato così di
progredire nelle virtù, in una sempre più grande umiltà, preparandoti alle
lotte future attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e intento a
servirmi con volonteroso fervore.
1. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così
certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla
tentazione di restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur
avevano chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la
gloria di Dio.
Tale è sovente il tuo desiderio, giacché vi hai immesso un fermento così poco
confacente: non è puro e perfetto, infatti, quello che è inquinato dal comodo
proprio. Non chiedere ciò che ti piace e ti è utile, ma piuttosto ciò che è
gradito a me e mi rende gloria. A ben vedere, al tuo desiderio e ad ogni cosa
desiderata devi preferire il mio comando, e seguirlo. Conosco la tua brama, ho
ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere nella libertà gloriosa
dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la patria del cielo,
pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto; questo è tuttora un
momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della prova. Tu brami di
essere ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso. Sono io
"aspettami, dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il regno di Dio.
Devi essere ancora provato qui in terra, e travagliato in vario modo. Qualche
consolazione ti sarà data talvolta; ma non ti sarà concessa una piena sazietà.
"Confortati, pertanto e sii gagliardo" (Gs 1,7), nell'agire e nel
sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti rivesta dell'uomo
nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu faccia
quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo
quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato
quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri
chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi
al cospetto degli uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata
questa o quella faccenda; tu, invece, non sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò
la natura uscirà talvolta contristata; e già sarà molto se sopporterai in
silenzio.
2. In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si
solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso.
Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che
constatare ciò che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare;
specialmente allorché ti viene imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna
o utile. Non osando opporre resistenza a un potere superiore, tu, che sei
sottoposto, trovi duro camminare al comando di altri, e lasciar cadere ogni tua
volontà.
Ma se consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste sofferenze, cioè il
rapido venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun peso in
tali sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di
quella scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei
cieli la pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che
vorrai, tutto ciò che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò
che è bene e non temerai che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere,
a me sempre unito, a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla che sia tuo
proprio. Nei cieli nessuno ti farà resistenza, nessuno si lamenterà di te,
nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si porrà contro di te; ma tutti i desideri
saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo, appagandolo
del tutto. Nei cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la
tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei
secoli. Nei cieli si vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio
della penitenza; sarà coronata di gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi
chinarti umilmente sotto il potere di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi
sia colui che ti ha detto o comandato alcunché; bada sommamente - sia un
superiore, o uno più giovane di te o uno pari a te, a chiederti o ad importi
qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo in modo di eseguirlo con
buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si glori in
una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra: quanto a te, invece,
non in questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma nel
disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E' questo
che devi desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio, "per la vita e
per la morte" (Fil 1,20).
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Capitolo
L "CHI E' NELLA DESOLAZIONE DEVE METTERSI NELLE MANI DI DIO"
1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come
tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il
tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro.
Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la
mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non quello che, pur
senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto
è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia
giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime,
talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere delle passioni.
Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da te nutriti
nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi questa
santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar
lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo
servo non potrà percorrere lesto la
"via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno
le ginocchia, fino a toccargli il petto;
per lui non sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli
splendeva sul capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle
tentazioni.
1. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve
essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo
servo patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora,
che da sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se
interiormente sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori,
vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle
passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora
di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così
hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu
fai all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor
tuo; e ciò quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade
quaggiù senza che tu lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione.
"Cosa buona è per me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua
giustizia" (Sal 118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio
interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia
ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a cercare te,
piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo
giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con
imparziale giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso
i miei peccati e mi hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e
dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno
sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu solo lo puoi, o Signore
mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani, "cacci
all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola stia sopra
di me; essa mi ammaestrerà.
2. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi
corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita
tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un
devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me
stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile
essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte
le cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo
umano.
Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno
che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu
conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per
togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto,
desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno
conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è
da comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che
sommamente piace a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io
disprezzi ciò che è abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi
"secondo la veduta degli occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo
quel che si sente dire" da gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece,
discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito di verità; fa' che,
sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere.
Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano
anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose
visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato qualcosa di più, nel
giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo fallace che inganna un
uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un cieco che inganna un
cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto,
realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto
dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e
nulla di più.
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LI "DEDICARSI A COSE PIU' UMILI QUANDO SI VIENE MENO NELLE PIU' ALTE"
Tu non riesci, o figlio, a persistere in un fervoroso desiderio di virtù e
restare in un alto grado di contemplazione. Talora, a causa della colpa che è
all'origine dell'umanità, devi scendere più in basso e portare il peso di
questa vita corruttibile, pur contro voglia e con disgusto; disgusto e
pesantezza di spirito, che sentirai fino a che vestirai questo corpo mortale.
Nella carne, dunque, e sotto il peso della carne devi spesso patire, poiché non
sei capace di stare interamente e continuamente in occupazioni spirituali e
nella contemplazione di Dio. Allora devi rifugiarti in occupazioni umili e
materiali e fortificarti con azioni degne;
devi attendere, con ferma fiducia, che io venga dall'alto e mi manifesti a te;
devi sopportare con pazienza il tuo esilio e la tua aridità di spirito, fino a
che io non venga di nuovo a te, liberandoti da tutte le angosce.
Invero ti farò dimenticare le tue fatiche, nel godimento della pace interiore;
ti aprirò dinanzi il campo delle Scritture, nel quale potrai cominciare a
correre con animo sollevato "la via dei mie comandamenti"
(Sal 118,32). Allora dirai: "i patimenti di questo mondo non sono nulla in
confronto alla futura gloria, che si rivelerà in noi" (R>m 8,18).
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LII "L'UOMO NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI
ESSERE COLPITO"
1. E' giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci abbandonato e
desolato; perché della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale io
non son degno, e non lo sarei neppure se potessi versare tante lacrime quanto un
mare. Altro io non merito che di essere colpito e punito, per averti offeso,
spesso e in grave modo, e per avere, in molte occasioni peccato grandemente.
Dunque, a conti fatti, in verità, io non sono meritevole del minimo tuo
conforto. Ma tu, Dio clemente e pietoso, per manifestare l'abbondanza della tua
bontà in copiosa misericordia, non vuoi che l'uomo, opera della tue mani,
perisca; inoltre ti degni di consolare il tuo servo, anche al di là di ogni
merito, in modo superiore all'umano: ché non somigliano ai discorsi degli
uomini, le tue parole consolatrici. O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi
abbia a concedere qualche celeste conforto? Non rammento di aver fatto nulla di
buono; rammento invece di essere sempre stato facile al vizio e tardo
all'emendamento. Questa è la verità; non posso negarlo. Se dicessi il
contrario, tu ti porresti contro di me, e nessuno verrebbe a difendermi. Che
cosa ho meritato con i mie peccati, se non l'inferno e il fuoco eterno?
1. Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato in tutti i
modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i tuoi fedeli. Anche se
questo me lo dico con dolore, paleserò chiaramente, contro di me, per amore di
verità, i miei peccati, così da rendermi degno di ottenere più facilmente la
tua misericordia.
Che dirò, colpevole quale sono, e pieno di vergogna? Non ho la sfrontatezza di
pronunziare parola; se non questa soltanto: ho peccato, Signore, ho peccato,
abbi pietà di me, dammi il tuo perdono. "Lasciami un poco; lascia che io
pianga tutto il mio dolore, prima di andare nel luogo della tenebra, coperto
dalla caligine della morte" (Gb 10,20s). Che cosa chiedi massimamente dal
colpevole, dal misero peccatore, se non che egli si penta e si umilii per le sue
colpe? Dalla sincera contrizione e dall'umiliazione interiore sboccia la
speranza del perdono, e ritrova se stessa la coscienza sconvolta; l'uomo
riacquista la grazia perduta e trova riparo dall'ira futura. Dio e l'anima
penitente si incontrano in un vicendevole santo bacio. Sacrificio a te gradito,
o Signore - sacrificio che odora, al tuo cospetto, molto più soave del profumo
dell'incenso - è l'umile sincero pentimento dei peccatori. E' questo pure
l'unguento gradito che hai voluto fosse versato sui tuoi sacri piedi, giacché
tu non hai disprezzato "un cuore contrito ed umiliato" (Sal 50,19). In
questo sincero pentimento si trova rifugio dalla faccia minacciosa del nemico.
Con esso si ripara e si purifica tutto ciò che, da qualche parte, fu deturpato
e inquinato.
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LIII "LA GRAZIA DI DIO NON SI CONFONDE CON CIO' CHE HA SAPORE DI COSE
TERRENE"
1. Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere mescolata a
cose esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi buttar via tutto ciò che
ostacola la grazia, se vuoi che questa sia infusa in te.
Procurati un luogo appartato, compiaciti di stare solo con te stesso, non andare
cercando di chiacchierare
con nessuno; effondi, invece, la tua devota preghiera a Dio, per conservare
compunzione d'animo e purezza di coscienza. Il mondo intero, consideralo un
nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti di Dio.
Ché non potresti attendere a me, e nello stesso tempo trovare godimento nelle
cose passeggere.
Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono e alle quali si vuole bene;
occorre tenere l'animo sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il
santo apostolo Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si
conservino in questo mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11).
Quanta sicurezza in colui che muore, senza essere legato alla terra
dall'attaccamento per alcuna cosa. Uno spirito debole, invece, non riesce a
mantenere il cuore tanto distaccato: l'uomo materiale non conosce la libertà
dell'uomo interiore.
Che se uno vuole veramente essere uomo spirituale, egli deve rinunciare a tutti,
ai lontani e ai vicini; e guardarsi da se stesso più ancora che dagli altri. Se
avrai vinto pienamente te stesso, facilmente soggiogherai tutto il resto.
Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta; giacché colui che domina se
stesso - facendo sì che i sensi obbediscano alla ragione, e la ragione
obbedisca in tutto e per tutto a Dio - questi è, in verità il vincitore di sé
e signore del mondo.
1. Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu cominci con
coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter estirpare totalmente la tua
segreta inclinazione, contraria al volere di Dio e volta a te stesso e a tutto
ciò che è tuo utile materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé,
contrarissimo alla volontà divina, deriva, si può dire, tutto quanto deve
essere stroncato radicalmente. Domato e superato questo vizio, si farà
stabilmente una grande pace e una grande serenità. Ma sono pochi quelli che si
adoprano per morire del tutto a se stessi, e per uscire pienamente da se stessi.
I più restano avviluppati, né sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé.
Coloro che desiderano camminare con me senza impacci debbono mortificare tutti i
loro affetti perversi e contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare
attaccati di cupido amore personale ad alcuna creatura.
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LIV "GLI OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA"
1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della
grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che
soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore
spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro
azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del
bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce,
inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il
male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa
soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura
non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere
schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La
grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità,
desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà,
preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma
vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a
ogni creatura umana, per amore di Dio.
La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire
da altri.
La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e
dell'interesse propri.
La natura gradisce onori e omaggi.
La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura
rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di
patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41).
La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale.
La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica.
La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e
grossolane.
La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza
le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.
1. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si
rattrista delle perdite di quaggiù;
si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata
all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose
materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro
e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida,
preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La
grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose
personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che
ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo,
alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù;
rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne,
frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in
pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale
trovino piacere i sensi.
La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni
cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il
proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere
nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di
riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi
doni siano molto apprezzati.
La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come
ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita
non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose
eterne.
2. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta
della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe;
sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La
grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici;
non dà importanza
al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia
una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco;
simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri
con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone
ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così
da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio.
La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta.
La grazia sopporta con fermezza ogni privazione.
La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé.
La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla
loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con
superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si
sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e
al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere
ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi
e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione.
La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché
tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su
questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo.
La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana
compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno
di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri
studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di
sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato
Iddio, che tutto elargisce per puro amore.
3. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare
di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La
grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da
carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la
natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e
nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di
Dio.
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Capitolo
LV "LA CORRUZIONE DELLA NATURA E LA POTENZA DELLA GRAZIA DIVINA"
1. o Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi
questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato;
così che io possa superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al
peccato e alla perdizione. Ché, nella mia carne, io sento, contraria alla
"legge della mia ragione, la legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi
fa schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far
fronte alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge del peccato, se
non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne avvampa.
Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre
proclive al male, fin dal principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la
natura decadde, corrotta dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia
passò in tutti gli uomini, talché quella "natura", da te creata
buona e retta, ormai è intesa come "vizio e debolezza della natura
corrotta". Così, per la libertà che le è lasciata, la natura trascina
verso il male e verso il basso.
E quel poco di forza che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla
cenere. E' questa la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità, è
ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di separare il vero dal falso;
anche se non riesce a compiere tutto quello che riconosce come buono, anche se
non possiede la pienezza del lume della verità e la perfetta purezza dei suoi
affetti. E' per questo, o mio Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della
tua legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e santo,
tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io
mi sottometto alla legge del peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione.
E' per questo che "volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non
riesco" (Rm 7,18). E' per questo che vado spesso proponendomi molte buone
cose; ma mi manca la grazia che mi aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e
vengo meno anche per una piccola difficoltà.
E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere
con chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso
della corruzione dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.
1. La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per
cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa
non posso far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi
dai forza, con la tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa;
mancando la quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono
considerare anche i doni naturali.
Abilità e ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono
presso di te, o Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia
i buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè
l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono ritenuti degni della
vita eterna.
Tutto sovrasta, questa grazia; tanto che né il dono della profezia, né il
potere di operare miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla,
senza di essa.
Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù sono a te accette,
senza la carità e la grazia.
2. O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai
ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin
dal mattino della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per
stanchezza e aridità interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai
tuoi occhi.
La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende
la natura umana.
Anche se sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun
male, finché la tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto;
vince tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti.
Essa è maestra di verità e di vita, luce del cuore, conforto nell'afflizione.
Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la pietà, genera le
lacrime. Che cosa sono io mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo
inutile, da buttare via? "La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda
sempre e mi segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù
Cristo, Figlio tuo. Amen.
(Messale Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).
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Capitolo
LVI "RINNEGARE SE STESSI E IMITARE CRISTO NELLA CROCE"
1. O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da te
stesso. Ché l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la mancanza di
desideri esterni porta la pace interiore. Io voglio che tu apprenda a rinnegare
pienamente te stesso, in adesione alla mia volontà, senza obiezioni, senza
lamentele. "Seguimi" (Mt 9,9). "Io sono la via, la verità e la
vita" (Gv 14,6). Senza la via non si cammina; senza la verità non si
conosce; senza la vita non si vive. Io sono la via che devi seguire; la verità
cui devi credere; la vita che devi sperare. Io sono la via che non si deve
lasciare, la verità che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono la via
diritta, la verità ultima, la vita eterna, beata, increata. "Se rimarrai
nella mia via, conoscerai la verità e la verità ti farà libero" (Gv
8,32); così raggiungerai la vita eterna. "Vuoi entrare nella vita? Osserva
i comandamenti" (Mt 19,17). Vuoi conoscere la verità? Chiedi a me.
"Vuoi essere perfetto? Vendi ogni tua cosa" (Mt 19,21). Vuoi essere
mio discepolo? Rinnega te stesso (cfr Lc 9,23; 14,27; Mt 16,24).
Vuoi avere la vita eterna? Disprezza la vita presente. Vuoi essere esaltato in
cielo? Umiliati in questo mondo. Vuoi regnare con me? Con me porta la croce.
Soltanto quelli che si fanno servi della croce trovano la via della beatitudine
e della vera luce.
1. O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e disprezzata dagli uomini; fa' che io
ti possa imitare, disprezzato dal mondo, giacché "il servo non è da più
del suo padrone, né il discepolo è da più del maestro" (Mt 10,24).
Che il tuo servo si addestri alla scuola della vita, perché in essa sta la mia
salvezza e la vera santità; qualunque cosa io legga o ascolti, fuori di essa,
non mi ristora e non mi allieta pienamente.
Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette; sarai beato se le metterai
in pratica. "Chi ha dinanzi agli occhi i miei comandamenti, e li osserva,
questi mi ama; e io l'amerò, mi manifesterò a lui" (Gv 24,21) e lo farò
sedere con me nel regno del Padre mio (Ap 3,21).
O Signore Gesù, come hai detto e hai promesso, così sia fatto veramente, e a
me sia dato di meritarlo.
Ho ricevuto la croce, l'ho ricevuta dalla tua mano; la porterò, la porterò
fino alla morte, come tu me l'hai posta sulle spalle. In verità la vita di un
santo monaco è la croce; ma la croce è guida al paradiso.
Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che
abbiamo intrapreso.
Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi. Abbiamo preso questa
croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui che
ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto.
Ecco, il nostro re camminare avanti a noi; "egli combatterà per noi"
(2Esd 4,20).
Seguiamolo con animo virile; che nessuno abbia paura, né si lasci atterrire;
che noi siamo pronti a morire coraggiosamente nella lotta; che non abbiamo a
gravare il nostro buon nome con una delittuosa fuga
(1Mac 9,10) dinanzi alla croce.
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Cap.LVII "NON CI SI DEVE ABBATTERE ECCESSIVAMENTE
QUANDO SI CADE IN QUALCHE MANCANZA"
1. O figlio, più mi è cara l'umile sopportazione nelle avversità, che la
pienezza di devota consolazione del tempo favorevole. Perché ti rattrista una
piccolezza che venga detta contro di te?
Anche se si trattasse di qualcosa di più, non dovresti turbarti. Lascia andare,
invece. Non è cosa strana; non è la prima volta, né sarà l'ultima, se vivrai
a lungo. Tu sei molto forte fino a che nulla ti contraria; sai persino dare
buoni consigli e fare forza ad altri con le tue parole. Ma non appena si
presenta alla tua porta un'improvvisa tribolazione, consiglio e forza ti vengono
meno. Guarda alla tua grande fragilità, che hai constatata molto spesso, di
fronte a piccole contraddizioni. Pure, è per il tuo bene che accadono simili
cose; deponile, dunque, dal tuo cuore, come meglio puoi. E se una cosa ti
colpisce, non per questo ti abbatta o ti tenga legato a lungo. Sopporta almeno
con pazienza, se non ti riesce con gioia. Anche se una cosa te la senti dire
malvolentieri e ne provi indignazione, devi dominarti; non devi permettere che
dalla tua bocca esca alcunché di ingiusto, che dia scandalo ai semplici. Ben
presto l'eccitazione emotiva si placherà, e l'eterna sofferenza si farà più
lieve, con il ritorno della grazia.
1. Ecco, "io vivo - dice il Signore -" (Is 49,18), pronto ad aiutarti
più ancora del solito, se a me ti affiderai, devotamente invocandomi. "Tu
sii più rassegnato" (Bar 4,30); sii pronto a una maggiore sopportazione.
Non è del tutto inutile che tu ti senta tribolato e fortemente tentato: sei un
uomo, e non Dio; carne, non spirito angelico. Come potresti mantenerti sempre
nel medesimo stato di virtù, quando questo venne meno a un angelo, in cielo, e
al primo uomo, nel paradiso? Io sono "colui che solleva e libera quelli che
piangono"
(Gb 5,11); colui che innalza alla mia condizione divina quelli che riconoscono
la loro debolezza.
O Signore, benedetta sia la tua parola, dolce al mio orecchio "più del
miele di favo" (Sal 18,11).
Che farei io mai, in così grandi tribolazioni e nelle mie angustie, se tu non
mi confortassi con le tue sante parole? Purché, alla fine, io giunga al porto
della salvezza, che importa quali e quanto grandi cose dovrò aver patito?
Concedimi un felice concepimento, un felice trapasso da questo mondo.
"Ricordati di me , o mio Dio" (2Esd 13,22) e conducimi nel tuo regno,
per retto cammino. Amen.
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Cap.LVIII
"NON DOBBIAMO CERCAR DI CONOSCERE LE COSE DEL CIELO E GLI OCCULTI GIUDIZIO
DI DIO"
1. O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti
giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un
così grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e
quell'altro viene tanto innalzato. Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità;
non v'è alcun ragionamento, non v'è alcuna disquisizione che valga a
comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una spiegazione ti viene
suggerita dal nemico, oppure certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con
quel detto del profeta: "tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo
giudizio" (Sal 118,137); o con quest'altro: "veri sono i giudizi di
Dio, santi in se stessi" (Sal 18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non
discuterli, perché essi sono incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure
devi indagare e discutere dei meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più
grande nel regno dei cieli. Sono cose che danno luogo spesso a dispute e a
contese inutili e fomentano la superbia e la vanagloria; onde nascono invidie e
divisioni, giacché uno si sforza, presuntuosamente, di portare innanzi un
santo, un altro, un altro santo. Ma sono cose che, a volerle conoscere ed
indagare, non portano alcun frutto; cose che, invece sono sgradite ai beati,
poiché "io non sono un Dio di discordia ma di pace" (1Cor 14,33).
Una pace che consiste nella vera umiltà, più che nella esaltazione di sé.
1. Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o
questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto
che divino. Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la
grazia; sono io che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di
ciascuno, sono andato loro incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4):
io che li sapevo eletti, prima di tutti i secoli. "Sono stato io a
sceglierli dal mondo, non loro a scegliere me" (Gv 15,16.19); sono stato io
a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con la mia misericordia; sono stato
io a condurli attraverso varie tentazioni, e ad infondere loro stupende
consolazioni; sono stato io a dar loro la perseveranza e a premiare le loro
sofferenze.
Io conosco chi è primo tra di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in
un amore che non ha misura.
In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa, a me va data la
benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto grandi,
con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun
merito. Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora
neppure quello che
sia grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap
6,8). E chi diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli
altri che sono nel regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a
causa del vincolo dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e
tutti unitamente si amano.
Di più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se stessi e più che i
propri meriti. Giacché, innalzati
sopra di sé e strappati dall'amore di sé, essi, nell'amore, si volgono
totalmente verso di me; di me godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li
possa distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco
di un inestinguibile amore. Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali,
essi che sanno apprezzare soltanto il proprio personale piacere, di disquisire
della condizione dei santi. Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio,
non secondo quanto è disposto dall'eterna verità. Molti non capiscono;
soprattutto quelli che, per scarso lume interiore, a stento sanno amare qualcuno
di perfetto amore spirituale.
Molti, per naturale affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi
o quei santi, e concepiscono il loro atteggiamento verso i santi del cielo come
quello verso gli uomini di quaggiù; mentre c'è un divario incolmabile tra il
modo di pensare della gente lontana dalla perfezione e le intuizioni raggiunte,
per superiore rivelazione, da coloro che sono particolarmente illuminati.
2. Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che
vanno al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto
di poterti trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo.
Ché, pure se uno sapesse chi sia più santo di un altro o sia considerato più
grande nel regno dei cieli, a che cosa ciò gli gioverebbe, se non ne traesse
motivo di abbassarsi dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor più
il mio nome? Compie cosa molto più gradita a Dio colui che pensa alla enormità
dei suoi peccati, alla pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia lontano
dalla perfezione dei santi; molto più gradita di quella che fa colui che
disputa intorno alla maggiore o minore grandezza dei santi. E' cosa migliore
implorare i santi, con devote preghiere e supplicarli umilmente affinché, dalla
loro gloria, ci diano aiuto; migliore che andare indagando, con inutile ricerca,
il segreto della loro condizione. Essi sono paghi, e pienamente.
Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui. I santi
non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è buono,
tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a donare
ad essi ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così
strabocchevole i santi sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla
può mancare di felicità. I santi, quanto più sono posti in alto nella gloria,
tanto più sono umili in se stessi, e a me più cari. Per questo trovi scritto
che "deponevano le loro corone dinanzi a Dio, cadendo faccia a terra
dinanzi all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei secoli"
(Ap 4,10; 5,14).
3. Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno
neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è
gran cosa essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché
"saranno detti - e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più
piccolo diventerà come mille" (Is 60,22);
"il più misero morirà di cento anni" (Is 65,20). Quando infatti i
discepoli andavano chiedendo chi sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli,
si sentirono rispondere così: "se non vi sarete convertiti e non vi sarete
fatti come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà
fatto piccolo come questo fanciullo, questi è il più grande nel regno dei
cieli" (Mt 18,3s). Guai a coloro che non vogliono accettare di buon grado
di farsi piccoli come fanciulli: la piccola porta del regno dei cieli non
permetterà loro di entrare. Guai anche ai ricchi, che hanno quaggiù le loro
consolazioni; mentre i poveri entreranno nel regno di Dio, essi resteranno
fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi "poveri, perché il
regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però che voi camminiate
nella verità.
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Capitolo
LIX "PORRE OGNI NOSTRA SPERANZA E OGNI FIDUCIA SOLTANTO IN DIO"
1. O Signore, che cosa è mai la fiducia che ho in questa vita. Quale è il mio
più grande conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei
forse tu, o Signore, mio Dio di infinita misericordia?
Dove mai ho avuto bene, senza di te; quando mai ho avuto male con te? Voglio
essere povero per te, piuttosto che ricco senza di te; voglio restare pellegrino
su questa terra, con te, piuttosto che possedere il cielo, senza di te. Giacché
dove sei tu, là è cielo; e dove tu non sei, là è morte ed inferno. Sei tu il
mio desiderio ultimo; perciò io ti debbo seguire, con gemiti e lacrime ed alte,
commosse preghiere. In una parola, non posso avere piena fiducia in alcuno che
mi venga in aiuto nelle varie necessità, fuori che in te soltanto, mio Dio.
"La mia speranza" e la mia fiducia sei tu (Sal 141,6); tu, il mio
consolatore, il più fedele in ogni momento. "Ognuno va cercando ciò che a
lui giova" (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi soltanto la mia salvezza e
tutto volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie tentazioni e avversità,
tutto questo tu lo vuoi per il mio bene, giacché quelli che tu ami usi metterli
in vario modo alla prova; e in questa prova io debbo amare e ringraziare, non
meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.
1. In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la mia speranza; in te cerco il
mio rifugio; in te rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie difficoltà, ché
tutto trovo debole e insicuro ciò che io vedo fuori di te.
Non mi gioveranno, infatti, i molti amici; non mi saranno di aiuto coloro che
vengono a soccorrermi, per quanto forti; non mi potranno dare un parere utile i
prudenti, per quanto saggi; non mi potranno dare conforto i libri dei sapienti;
non ci sarà una preziosa ricchezza che mi possa dare libertà; non ci sarà un
luogo ameno e raccolto che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente tu ad
aiutarmi, a confortarmi, a consolarmi; se non sarai presente tu ad ammaestrarmi
e a proteggermi. In verità, tutte le cose che sembrano fatte per dare pace e
felicità non sono nulla e non danno realmente felicità alcuna, se non ci sei
tu. Tu sei, dunque, l'ultimo termine di ogni bene, il supremo senso della vita,
la massima profondità di ogni parola. Sperare in te sopra ogni cosa è il
maggior conforto di chi si è posto al tuo servizio. "A te sono rivolti i
miei occhi (Sal 140,80); in te confido, o mio Dio (Sal 24,1s), padre di
misericordia" (2Cor 1,3). Benedici e santifica, con la tua celeste
benedizione, l'anima mia, affinché essa sia fatta tua santa dimora e sede della
eterna gloria; e nulla si trovi in questo tempio della tua grandezza, che
offenda l'occhio della tua maestà. Guarda a me, nella tua immensa bontà e
nell'abbondanza della tua misericordia; ascolta la preghiera del tuo servo, che
va peregrinando in questa terra oscura di morte. Proteggi e custodisci l'anima
di questo tuo piccolo servo, nei tanti pericoli della vita di quaggiù; dirigila
con la tua grazia per la via della pace, alla patria della eterna luce. Amen.
FINISCE IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE.
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