INTRODUZIONE
«Si rimane sorpresi a prima
vista che nella Bibbia vi sia un libro di preghiere. La Bibbia non è
infatti tutta una parola di Dio rivolta a noi? Ora le preghiere sono
parole umane e perciò come possono trovarsi nella Bibbia?
Se la Bibbia contiene un libro
di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di Dio non è soltanto
quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche «quella che egli
vuole sentirsi rivolgere da noi».
Queste righe scritte da
Dietrich Bonhoeffer, il teologo cristiano martire nel carcere
nazista di Flossenbiirg la mattina del sabato santo 1945, spiegano
limpidamente al credente il significato di queste centocinquanta
liriche che la tradizione ebraica ha chiamato Tehillim, «Lodi», e
quella greca Psalmoi, «Inni da cantare con musica».
Proprio perché parola
dell'uomo questi carmi sono intrisi di lacrime e di sorrisi, di
sofferenza e di speranza, di supplica e di ringraziamento e,
nonostante la tradizionale attribuzione globale a Davide, il re
della dinastia messianica, essi coprono un arco storico e letterario
ampio quanto l'intera storia d'lsraele.
Si va, infatti, dal canto
della tempesta «dai sette tuoni», un testo forse del XII sec. a.C.
opera di un Israele appena approdato nella terra di Canaan, alla
marcia militare dei Hasidim, «i pii» combattenti dell'epoca dei
Maccabei nel 167-164 a.C. (Salmo 149), passando attraverso la
potente ode di Davide raccolta dal Salmo 18 e la straziante elegia
pronunziata «lungo i fiumi di Babilonia» durante l'esilio del VI
sec. a.C. (Salmo 137).
In questo spirito si può dire
che, per il credente, il Salterio sia, come scriveva il teologo
mistico russo Pavel Evdokimov, «nella vita come un santuario che non
è separato da nessuna grata rispetto alla strada e alla casa».
È per questo che la stessa
definizione dei «generi letterari», cioè dei modelli fondamentali
entro cui l'incandescenza dei sentimenti e della fede si ordina e si
esprime, corrisponde ai grandi itinerari della vita. Le «suppliche»
occupano un terzo dei Salmi proprio perché nella vita il colore
della miseria domina su quello della gioia e forse anche perché la
stessa fede conosce più spesso il silenzio e l'oscurità che non
l'abbandono gioioso e la festa.
Gli «inni» parlano a Dio
dell'orizzonte cosmico, delle sue aurore, delle notti in cui
vagolano cani rabbiosi (Salmo 59), delle primavere (Salmo 65), del
mare spazioso solcato da navi e da balene (Salmo 104). ..
Gli inni parlano anche di
Sion, «la città del nostro Dio, monte santo, splendida vetta» (Salmo
48), parlano della storia d'lsraele, una storia che non, è «un
groviglio arruffato di fili di cui non si vede il bandolo» -come
diceva un antico inno sumerico -, ma è il terreno su cui Dio si
rivela e in cui agisce.
È così che si canta la storia
della salvezza nel «Grande Hallel» del Salmo 136, che si celebra il
progetto del Re supremo del tempo e della storia (Salmi 96-99), che
si attende l'alba messianica di un mondo privo di vittime
dell'ingiustizia e di oppressi (Salmo 72).
Proprio perché è «anatomia
dell'anima», come diceva il riformatore Calvino, il Salterio è la
testimonianza delle crisi di fede (Salmo 73) ma anche dei vertici
luminosi della mistica (Salmo 16), è la registrazione autobiografica
delle disperazioni più tenebrose (Salmo 88) ma è anche la dolce
certezza dell'essere come «un bimbo svezzato» tra le braccia di un
Dio che sa essere padre e madre (Salmo 131):
«.Padre e madre mi hanno
abbandonato, il Signore -lui solo -mi raccolse!» (Salmo 27,10).
Proprio perché «canto di ogni giorno e canto per ogni giorno»,
secondo la definizione di uno dei grandi maestri giudaici del I-II
sec. d.C. rabbì Aqiba, il Salterio spalanca le sue poesie sul brusio
delle strade; 10 sulle opere e sui giorni, sulle piccole e grandi
cose che i sapienti d'Israele cercavano di comprendere. Si spalanca
anche nelle ore tragiche dello stato ebraico: «i nemici han tutto
distrutto, devastato il tuo Santuario; come belve in delirio
urlavano e issarono in piena assemblea i loro vessilli...
Abbattevano con la scure e
l'ascia le porte; han tutto mandato in frantumi, dato fuoco al tuo
Santuario!» (Salmo 74). Ma il Salterio si schiude anche sulle
tragedie della coscienza, sul dramma interiore del peccato: il
Miserere (Salmo 51) e il De profundis (Salmo 130) sono due simboli
letterari e spirituali che ormai appartengono a tutta l'umanità. Sì,
perché se il Salterio è nato nella fede ed è stato cantato nella
fede, è anche testimonianza dell'umanità, del suo respiro di gioia e
di dolore, di bellezza e di amarezza.
Nella sua opera "Aurora" il
filosofo Friedrich Nietzsche scriveva: «Tra ciò che sentiamo alla
lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro e
Petrarca c'è la stessa differenza che intercorre tra la patria e la
terra straniera».
Relegati troppo spesso solo su
libri di pietà, imprigionati in commenti religiosi e vagamente
spiritualistici, i Salmi chiedono di uscire dalle aree sacre, di
ritornare nel rumore delle città, di essere ascoltati e magari
pronunziati anche da chi non ha nessun Dio.
Perché essi sono il microcosmo
dell'umanità: nello specchio dei loro simboli e delle loro
intuizioni ogni uomo che cerca può forse trovare qualcosa, ogni uomo
che ama può forse incontrare una parola suprema. È per questo che la
trama su cui si snoda questa nuova edizione integrale del Salterio
vuole seguire e unire un doppio itinerario.
Da un lato c'è il desiderio di
far balenare al credente «i mirabili tesori di queste preghiere»,
come ha suggerito il Concilio Vaticano II nella Dei Verbum (n. 15);
c'è il desiderio di farli cantare attraverso una versione che non
sia grezza e inceppata ma fluida e ritmica, anche perché l'ultimo
salmo, il 150, evoca l'accompagnamento degli otto strumenti
dell'orchestra del Tempio di Sion.
C'è il desiderio di farli
rinascere in nuove preghiere, in nuovi canti: ecco perché una
dossologia, cioè un breve inno di lode 11 e una preghiera stesa
nello stile classico della liturgia cristiana sigillano tutte le
composizioni salmiche.
D'altro lato, però, questo
Salterio è per tutti gli uomini che amano la poesia, che riflettono
sul mistero dell'esistere e del morire, che sperano e s'indignano,
insomma, che vivono da uomini.
Ed è per questo che la
versione, frutto della lunghissima compagnia di un poeta col
Salterio, cerca di tendere la lingua italiana al suo massimo
splendore per farle esprimere lo splendore di una lingua così
lontana com'è l'ebraico antico. S.Gerolamo, il grande traduttore
della Bibbia, scriveva che non basta tradurre i Salmi «in linguam
latinam», bisogna renderli «latine», non basta cioè trasferire
materialmente segmenti di frasi dall'ebraico in italiano, bisogna
invece cogliere tutte le risonanze, le allusività, gli echi, le
tonalità e ricostruirle nella nostra lingua.
Così, accanto al poeta, ha
vegliato uno studioso della Bibbia, uno specialista proprio del
Salterio che a quest'opera ha dedicato già un monumentale commento
scientifico di tremila pagine.
Egli ha offerto al poeta tutta
la tavolozza dei colori orientali nascosti in quelle parole antiche,
tutte le costellazioni dei simboli, delle immagini, delle allusioni
perché nella penna del poeta rifiorissero in colori, in simboli, in
echi della lingua vicina all'uomo di oggi. Il commento, intanto,
scioglieva per ogni salmo i segreti letterari e storici, ne
tratteggiava in modo essenziale il movimento poetico e spirituale.
E qua e là alcune «oasi»
poetiche ricreavano in nuovi salmi le emozioni e i pensieri di
alcuni salmi antichi. Nel suo commento al Salterio il grande maestro
alessandrino Origene (III sec.) racconta che un dotto ebreo,
probabilmente un membro dell'accademia rabbinica di Cesarea, gli
aveva paragonato le Sacre Scritture ad un grande palazzo con molte,
moltissime stanze. Davanti ad ogni stanza c'è una chiave, ma non è
quella giusta.
Le chiavi di tutte le stanze
sono scambiate: trovare le chiavi giuste che aprono le porte è
compito di chi spiega la Bibbia. Con questo volume abbiamo voluto
offrire le centocinquanta chiavi per l'ingresso nelle stanze del
Salterio.
Ora tocca al lettore di
entrare e di sostare. Alcune camere saranno modeste, quotidiane, con
le impronte della vita semplice, altre saranno simili a saloni
affrescati e sontuosamente arredati; in alcune si respira atmosfera
di gioia, si celebrano nozze, si fa festa, in altre gli strumenti
musicali sono velati in segno di lutto, come si faceva in Israele
durante le calamità, e si ode il lamento e il pianto.
Ma in tutte c'è la possibilità
di un incontro, c'è il rischio gioioso di vedere nella luce altra
luce (Salmo 36,10). Ed allora sarà bello restare a lungo come il
passero e la rondine che qui hanno posto i loro nidi perché «un
giorno in questi atri più di mille ne vale nelle ospitali tende
dell'empio» (Salmo 84,4.11).
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