Rinnovamento nello Spirito - Agrigento

 

 

 

I SALMI

 Traduzione di David Maria Turoldo Commento di Gianfranco Ravasi

Oscar Classici Mondadori

INTRODUZIONE

«Si rimane sorpresi a prima vista che nella Bibbia vi sia un libro di preghiere. La Bibbia non è infatti tutta una parola di Dio rivolta a noi? Ora le preghiere sono parole umane e perciò come possono trovarsi nella Bibbia?

Se la Bibbia contiene un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche «quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi».

Queste righe scritte da Dietrich Bonhoeffer, il teologo cristiano martire nel carcere nazista di Flossenbiirg la mattina del sabato santo 1945, spiegano limpidamente al credente il significato di queste centocinquanta liriche che la tradizione ebraica ha chiamato Tehillim, «Lodi», e quella greca Psalmoi, «Inni da cantare con musica».

Proprio perché parola dell'uomo questi carmi sono intrisi di lacrime e di sorrisi, di sofferenza e di speranza, di supplica e di ringraziamento e, nonostante la tradizionale attribuzione globale a Davide, il re della dinastia messianica, essi coprono un arco storico e letterario ampio quanto l'intera storia d'lsraele.

Si va, infatti, dal canto della tempesta «dai sette tuoni», un testo forse del XII sec. a.C. opera di un Israele appena approdato nella terra di Canaan, alla marcia militare dei Hasidim, «i pii» combattenti dell'epoca dei Maccabei nel 167-164 a.C. (Salmo 149), passando attraverso la potente ode di Davide raccolta dal Salmo 18 e la straziante elegia pronunziata «lungo i fiumi di Babilonia» durante l'esilio del VI sec. a.C. (Salmo 137).

In questo spirito si può dire che, per il credente, il Salterio sia, come scriveva il teologo mistico russo Pavel Evdokimov, «nella vita come un santuario che non è separato da nessuna grata rispetto alla strada e alla casa».

È per questo che la stessa definizione dei «generi letterari», cioè dei modelli fondamentali entro cui l'incandescenza dei sentimenti e della fede si ordina e si esprime, corrisponde ai grandi itinerari della vita. Le «suppliche» occupano un terzo dei Salmi proprio perché nella vita il colore della miseria domina su quello della gioia e forse anche perché la stessa fede conosce più spesso il silenzio e l'oscurità che non l'abbandono gioioso e la festa.

Gli «inni» parlano a Dio dell'orizzonte cosmico, delle sue aurore, delle notti in cui vagolano cani rabbiosi (Salmo 59), delle primavere (Salmo 65), del mare spazioso solcato da navi e da balene (Salmo 104). ..

Gli inni parlano anche di Sion, «la città del nostro Dio, monte santo, splendida vetta» (Salmo 48), parlano della storia d'lsraele, una storia che non, è «un groviglio arruffato di fili di cui non si vede il bandolo» -come diceva un antico inno sumerico -, ma è il terreno su cui Dio si rivela e in cui agisce.

È così che si canta la storia della salvezza nel «Grande Hallel» del Salmo 136, che si celebra il progetto del Re supremo del tempo e della storia (Salmi 96-99), che si attende l'alba messianica di un mondo privo di vittime dell'ingiustizia e di oppressi (Salmo 72).

Proprio perché è «anatomia dell'anima», come diceva il riformatore Calvino, il Salterio è la testimonianza delle crisi di fede (Salmo 73) ma anche dei vertici luminosi della mistica (Salmo 16), è la registrazione autobiografica delle disperazioni più tenebrose (Salmo 88) ma è anche la dolce certezza dell'essere come «un bimbo svezzato» tra le braccia di un Dio che sa essere padre e madre (Salmo 131):

«.Padre e madre mi hanno abbandonato, il Signore -lui solo -mi raccolse!» (Salmo 27,10). Proprio perché «canto di ogni giorno e canto per ogni giorno», secondo la definizione di uno dei grandi maestri giudaici del I-II sec. d.C. rabbì Aqiba, il Salterio spalanca le sue poesie sul brusio delle strade; 10 sulle opere e sui giorni, sulle piccole e grandi cose che i sapienti d'Israele cercavano di comprendere. Si spalanca anche nelle ore tragiche dello stato ebraico: «i nemici han tutto distrutto, devastato il tuo Santuario; come belve in delirio urlavano e issarono in piena assemblea i loro vessilli...

Abbattevano con la scure e l'ascia le porte; han tutto mandato in frantumi, dato fuoco al tuo Santuario!» (Salmo 74). Ma il Salterio si schiude anche sulle tragedie della coscienza, sul dramma interiore del peccato: il Miserere (Salmo 51) e il De profundis (Salmo 130) sono due simboli letterari e spirituali che ormai appartengono a tutta l'umanità. Sì, perché se il Salterio è nato nella fede ed è stato cantato nella fede, è anche testimonianza dell'umanità, del suo respiro di gioia e di dolore, di bellezza e di amarezza.

Nella sua opera "Aurora" il filosofo Friedrich Nietzsche scriveva: «Tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro e Petrarca c'è la stessa differenza che intercorre tra la patria e la terra straniera».

Relegati troppo spesso solo su libri di pietà, imprigionati in commenti religiosi e vagamente spiritualistici, i Salmi chiedono di uscire dalle aree sacre, di ritornare nel rumore delle città, di essere ascoltati e magari pronunziati anche da chi non ha nessun Dio.

Perché essi sono il microcosmo dell'umanità: nello specchio dei loro simboli e delle loro intuizioni ogni uomo che cerca può forse trovare qualcosa, ogni uomo che ama può forse incontrare una parola suprema. È per questo che la trama su cui si snoda questa nuova edizione integrale del Salterio vuole seguire e unire un doppio itinerario.

Da un lato c'è il desiderio di far balenare al credente «i mirabili tesori di queste preghiere», come ha suggerito il Concilio Vaticano II nella Dei Verbum (n. 15); c'è il desiderio di farli cantare attraverso una versione che non sia grezza e inceppata ma fluida e ritmica, anche perché l'ultimo salmo, il 150, evoca l'accompagnamento degli otto strumenti dell'orchestra del Tempio di Sion.

C'è il desiderio di farli rinascere in nuove preghiere, in nuovi canti: ecco perché una dossologia, cioè un breve inno di lode 11 e una preghiera stesa nello stile classico della liturgia cristiana sigillano tutte le composizioni salmiche.

D'altro lato, però, questo Salterio è per tutti gli uomini che amano la poesia, che riflettono sul mistero dell'esistere e del morire, che sperano e s'indignano, insomma, che vivono da uomini.

Ed è per questo che la versione, frutto della lunghissima compagnia di un poeta col Salterio, cerca di tendere la lingua italiana al suo massimo splendore per farle esprimere lo splendore di una lingua così lontana com'è l'ebraico antico. S.Gerolamo, il grande traduttore della Bibbia, scriveva che non basta tradurre i Salmi «in linguam latinam», bisogna renderli «latine», non basta cioè trasferire materialmente segmenti di frasi dall'ebraico in italiano, bisogna invece cogliere tutte le risonanze, le allusività, gli echi, le tonalità e ricostruirle nella nostra lingua.

Così, accanto al poeta, ha vegliato uno studioso della Bibbia, uno specialista proprio del Salterio che a quest'opera ha dedicato già un monumentale commento scientifico di tremila pagine.

Egli ha offerto al poeta tutta la tavolozza dei colori orientali nascosti in quelle parole antiche, tutte le costellazioni dei simboli, delle immagini, delle allusioni perché nella penna del poeta rifiorissero in colori, in simboli, in echi della lingua vicina all'uomo di oggi. Il commento, intanto, scioglieva per ogni salmo i segreti letterari e storici, ne tratteggiava in modo essenziale il movimento poetico e spirituale.

E qua e là alcune «oasi» poetiche ricreavano in nuovi salmi le emozioni e i pensieri di alcuni salmi antichi. Nel suo commento al Salterio il grande maestro alessandrino Origene (III sec.) racconta che un dotto ebreo, probabilmente un membro dell'accademia rabbinica di Cesarea, gli aveva paragonato le Sacre Scritture ad un grande palazzo con molte, moltissime stanze. Davanti ad ogni stanza c'è una chiave, ma non è quella giusta.

Le chiavi di tutte le stanze sono scambiate: trovare le chiavi giuste che aprono le porte è compito di chi spiega la Bibbia. Con questo volume abbiamo voluto offrire le centocinquanta chiavi per l'ingresso nelle stanze del Salterio.

Ora tocca al lettore di entrare e di sostare. Alcune camere saranno modeste, quotidiane, con le impronte della vita semplice, altre saranno simili a saloni affrescati e sontuosamente arredati; in alcune si respira atmosfera di gioia, si celebrano nozze, si fa festa, in altre gli strumenti musicali sono velati in segno di lutto, come si faceva in Israele durante le calamità, e si ode il lamento e il pianto.

Ma in tutte c'è la possibilità di un incontro, c'è il rischio gioioso di vedere nella luce altra luce (Salmo 36,10). Ed allora sarà bello restare a lungo come il passero e la rondine che qui hanno posto i loro nidi perché «un giorno in questi atri più di mille ne vale nelle ospitali tende dell'empio» (Salmo 84,4.11).